Il caposaldo dello street food siciliano è arrivato a costare più di €6 al pezzo in alcune parti dell’Isola. Aumenti generalizzati in tutte le province: gli effetti sul turismo
“C’è qualcosa di più importante da fare: addentare un arancino”, scriveva Andrea Camilleri nella raccolta Gli arancini di Montalbano. Lo street food simbolo della Sicilia rimane l’attrazione culinaria per eccellenza di una delle terre gastronomicamente più ricche del Mediterraneo. Eppure, anche loro sono diventati un piatto quasi di lusso. Addio ai tempi in cui le prelibate palle (o coni, al maschile, a seconda della località dove vengono preparati) di riso mutuate dalla tradizione araba costavano meno di €2,00 ciascuna.
Questa estate è segnata dai prezzi alle stelle. Dalla Puglia alla Liguria, dalla Toscana alla Sardegna, tutto costa di più. E ora anche la Sicilia, che finora era stata la regione che aveva mantenuto i costi più bassi sta rincarando. Come riporta il Corriere della Sera ora anche l’isola ha aumentato i prezzi di arancini, spritz, pesce e quanto altro. A Taormina, per esempio, ora sposarsi in Comune costa il doppio: si è infatti passati da 800 a 1.600 euro. Il parcheggio costa 3 euro all’ora e anche la tassa di soggiorno è stata raddoppiata. “Ho dovuto alzare le tariffe perché ho ereditato un debito di 12 milioni”, spiega Cateno De Luca. Le spiagge però non sono aumentate così tanto visto che per due lettini e un ombrellone, dal 2019, si è passati da 50 a 60 euro. Costo che nel palermitano scende a 30 euro e a 7 euro a persona nel’agrigentino.
I prezzi degli alberghi, secondo Demoskopika, sono invece aumentati del 34 per cento. E così a Cefalù una famiglia di quattro persone può arrivare a spendere fino a 12mila euro per un soggiorno di una settimana.
Per quanto riguarda la ristorazione, un primo piatto con gambero rosso di Mazara, che nel 2019 costava 21 euro, ora ne costa 26. Lo spaghetto con le vongole 15 (contro i 10 del passato). E attenzione il famoso arancino che costava 2,50 euro appena un anno fa, ora è salito a 4 euro. Tutta colpa dei rincari delle materie prime, si giustifica Danilo Li Muli, inventore di Ke Palle: Il riso è cresciuto del 140 per cento, l’olio per friggere del 35, abbiamo adeguato i prezzi”. A scapito dei turisti.
C’entrano la guerra in Ucraina, l’inflazione, ma non solo. Il governo è intervenuto ad esempio con una misura ad hoc per fermare il caro voli, dovuto agli algoritmi usati dalle compagnie aeree che hanno fatto schizzare alle stelle gli importi dei biglietti. Tornando agli arancini, la voce dei ristoratori sembra unanime: “Il prezzo al pubblico è diverso rispetto al passato perché riflette gli ultimi aumenti della materia prima”, ci rivela il titolare di un noto locale della provincia di Messina che ha portato l’arancino prima dai canonici €2,50 a €2,80 e infine agli attuali €3,00. “Se a noi costa di più farlo, non vedo perché debba essere un problema pagarlo a un prezzo maggiore. Al turista che viene una tantum non fa alcuna differenza, la domanda rimarrà uguale a prima. Il consumatore medio ha sempre qualcosa da ridire, ma se tutti all’unisono prendono provvedimenti di fronte a questa situazione non è che perdiamo clienti a favore di chi offre prezzi più bassi”.
Insomma, se l’epoca dell’arancino a €1,50 era già stata archiviata, adesso anche quella del cibo di strada a costi irrisori in Sicilia rischia di diventare un ricordo offuscato. Livellando lentamente anche quel divario nel tenore di vita tra nord e sud che nel Paese, è importante ricordarlo, è tutto tranne che scomparso.