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Eva Riccobono: Mio padre Diceva: “Così alla Vucciria ti riconoscono”


Eva Riccobono, Modella, attrice e scrittrice, in famiglia parla il dialetto meglio di tutti: «I posti più belli di Palermo sono i quartieri del centro storico, quelli che partono dal vero cuore della città.

Riccobono: «Mio padre mi costrinse a imparare il siciliano stretto. Diceva: “Così alla Vucciria ti riconoscono”»
Eva Riccobono, 40 anni, supermodella, attrice e scrittrice. Vive a Londra con il compagno Matteo Ceccarini e i due figli

Papà Giacomo quando ancora era una ragazzina decise di insegnarle il palermitano, quello del centro, dei mercati di Ballarò e della Vucciria. «Eva devi parlarlo meglio di tutti noi, così non penseranno che sei una turista ma una del posto e ti tratteranno di conseguenza», le diceva. «E così il mio dialetto è il più dialetto della famiglia. E pensate le facce quando facevo la spesa al mercato, alta e bionda e con la erre arrotolata, non appena cominciavi a parlare in siciliano stretto ma stretto, dall’altra parte del banco quasi svenivano». Già, chissà. Poi, forse, è da qui che comincia la Eva Riccobono che ride e scherza e stupisce. Quarant’anni tondi tondi, è stata fra le modelle più famose al mondo, ora è attrice e scrittrice. È lei che ci porta per mano nella Palermo in cui è nata e cresciuta, da padre siciliano e mamma tedesca: «Fino a 19 anni non mi sono mai mossa da lì» racconta oggi entusiasta di parlare della città che è il suo cuore.

«PIRANDELLO, CAMILLERI MA ANCHE GOLIARDA SAPIENZA: UNA SICILIANA CHE ILLUMINA»

«Poi ho cominciato a viaggiare, e parecchio, direi. Ma lì sono le mie radici, il mio tutto. Ogni anno ci torno con i bambini e Matteo ( Ceccarini, suo marito, ndr): ci sono la mia famiglia (i genitori e le due sorelle, ndr), gli amici, gli affetti. A Pasqua e a fine agosto. E quando arrivo sono Eva. Eva e basta. Addirittura, quando cammino, c’è chi mi saluta e mi indica come la “figghia” ( figlia, ndr) di Giacomo».
Parole e ricordi vanno a braccetto: «Tutti amavano e conoscevano papà. Aveva cominciato da elettricista per arrivare ad aprire un negozio in centro di stereo e autoradio, diventato poi il più grande della città. Era buono e disponibile: aiutava chiunque, faceva piaceri a tutti. Una cultura che mi ha sempre insegnato: “Ricordati che aiutare gli altri, fare un favore – mi ripeteva – significa ricevere in cambio qualcosa. Che sia solo la gentilezza”. Io sono un po’ così, ho ereditato questo da lui».

«IL NOSTRO E’ LO STREET FOOD DI PIU’ ALTA QUALITA’ AL MONDO. UN SUPERCONSIGLIO? LA CREMOLATA: SEMBRA UNA GRANITA NON LO E’»

Il luogo del cuore?
«In assoluto è un paesino vicino che si chiama Scopello. Un luogo bellissimo dove io vivevo da giugno fino a settembre, finita la scuola. C’era questa piazza e questa gebbia ( tipica vasca-cisterna usata in campagna, ndr) dove l’acqua era potabile e noi ci divertivamo un sacco. Ci conoscevamo tutti e anche oggi quando vado ritrovo la gelataia di quando ero ragazzina e altri volti amici, mi si apre il cuore. Un posto magico insomma, dove mangiavo, ma in realtà lo mangio ancora, il panino “cunzato” più buono al mondo: pomodoro, primo sale, origano, acciughe, olio buono e pane cotto nel forno a legna. Puoi cercare di replicarlo ovunque, perché la ricetta è semplice, ma come in piazza a Scopello, mai!».

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In città?
«I posti più belli di Palermo sono i quartieri del centro storico, quelli che partono dal vero cuore della città, i Quattro Canti, dunque i vecchi mercati cioè Ballarò o la Vucciria. Oggi le nuove generazioni hanno deciso di prenderli in mano e di ri-vitalizzarli. E ora sono quartieri sicuri che la notte si trasformano: i vicoli e le botteghe artigianali che si riempiono dal tramonto in poi di giovani. Con un’offerta di street food incredibile, di cibo e di vino e di birre artigianali. Lì sono proprio cresciuta facendo le serate più belle della mia vita, semplicemente stando in piedi a chiacchierare per le stradine. Un po’ fatiscenti, è vero. Ma proprio per questo puoi respirare anche così la storia e la cultura della mia città e la diversità dell’architettura e della gente. Poi c’è una socialità incredibile. Sei con un amico e ne conosci altri cinquanta. Mi succede anche tutt’ora, quando “scendo”. In questi ultimi anni trovi poi molti giovani artisti alternativi stranieri: pittori, scultori, scrittori; tedeschi, inglesi o francesi che stanno lì e ti raccontano le loro storie e del loro innamoramento per Palermo che piace perché autentica. Una realtà poetica che mi riempie l’anima tutte le volte».

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Palermo, quartiere di Ballarò (foto di Massimo Siragusa)

Questo è il nuovo spirito di Palermo?
«Per me sì. E l’altra cosa che di cui sono estremamente orgogliosa che qui sono nati dei progetti di inclusione degli immigrati molto avanti. C’è per esempio un locale a Ballarò, il Moltivolti, fra i primi nati allo scopo. Qui la cucina, buonissima, parla molte lingue: mediorientali, africane e, ovviamente, siciliano. E fanno anche parecchi progetti culturali interni mossi ad integrare. Quando sono venuti i reali olandesi hanno visitato proprio Moltivolti. Ormai è un simbolo. E questo mi piace proprio: l’anima che accoglie di Palermo è sorprendente. Non è più la Sicilia ma è il Mediterraneo, una cultura diversa e senza confini e sponde. Lo vedi anche camminando nei vicoli. C’è una comunità meravigliosa di persone fatta dei nuovi nuclei familiari di palermitani che hanno sposato ragazze venute dall’Africa e viceversa. E l’integrazione è diventata realtà. Penso a Giocherenda, che in africano significa solidarietà, e che è una sartoria molto carina portata avanti da ragazzi e ragazze africani e non solo, dove ogni anno vado farmi confezionare con i loro tessuti gonne molto belle».

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Imperdibile?
«Il cibo: arancini, caponata, polpo fresco, ostriche e pane con la milza. Cosa te lo dico a fare? Penso sia lo street food di più alta qualità al mondo. C’è questo e quello, semplicità e tradizione. E il gelato, poi! Non c’è gelateria palermitana che non sappia farlo come si deve: su tutti i gusti, la cremolata che sembra una granita ma non lo è».

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Eva Riccobono all’inizio della carriera

Il luogo “segreto”?
«Il quartiere Kalza con le sue chiesette e le sue piazze. A 22 anni me lo fece scoprire mio padre. Prendendo la patente a Milano, capii che alla fine non conoscevo così bene la mia di città. Così supplicai papà di insegnarmi a girare il centro, da sola e a piedi, perché, confesso, sino a quel momento mi perdevo sempre. Scelse per cominciare Kalza, appunto. Per un giorno intero, lui davanti e io dietro, mi portò nelle piazzette e nei vicoli di questo quartiere dove non mi ero mai soffermata. Scoprii con lui chiesette incredibili e storie che non conoscevo. Lui sapeva tutto, ma proprio tutto e di tutti. E poi il quartiere Ballarò, che è il più nominato e conosciuto ma non per questo ogni volta non mi stupisce. C’è sempre una sorpresa dietro l’angolo. Come quella volta che arrivai e mi ritrovai un megaschermo dove si proiettava un film d’autore. O quando mia sorella mi disse “vestiti che usciamo per andare a una festa in verticale pazzesca”».

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Eva Riccobono con il compagno, il dj Matteo Ceccarini

Festa in verticale?
«Anche io non sapevo cosa fosse. Me lo spiegò lei: le organizzano le famiglie di uno stesso palazzo. Ad ognuno un compito. Quella volta invitavano gli inquilini di una casa tutta abitata da nordafricani: così trovavi il couscous al primo piano e i dolcetti al miele all’ultimo. Negli altri, musica e bevande e tanta, tantissima accoglienza e calore».

Un profumo di Palermo?
«Quello del mare che si infrange sulle scogliere. Che è diverso da quello che senti sulla spiaggia. È unico, lo riconosco appena atterro all’aeroporto e percorro la litoranea che mi porta in città».

Il colore?
«Il giallo dei limoni e il verde della foglie».

La Palermo che non consiglia?
«La mia città ha un solo difetto, cioè che la sia ama così tanto da non vederne le pecche per troppo desiderio di protezione. Penso alla pulizia. Palermo potrebbe competere con qualunque altra meraviglia se solo qualcuno prendesse in mano la situazione. Ci sono regioni e città, anche nel Sud, che si sono mosse decisamente meglio sul tema. E questo mi dispiace e non è un’offesa nei confronti dei siciliani. Perché io sono siciliana, non mi sento di nessun altro luogo, ma proprio perché io amo così tanto la mia terra che se vogliamo migliorarla, dobbiamo controllarla meglio e questo è compito delle istituzioni».

La Palermo che gli non si aspettano, ma che c’è?
«Quella che abbiamo visto la scorsa settimana. Che fa parte del carattere dei palermitani: l’unione. Centinaia di persone e famiglie dei dintorni, nelle campagne, che si sono date una mano le une con le altre per spegnere gli incendi. E prima che arrivassero gli aiuti. Questo può succedere anche per strada. Se ti succede qualcosa c’è sempre qualcuno che si offre di aiutarti. Ci sono disponibilità e solidarietà. Noi ci proteggiamo e proteggiamo chi è accanto a noi. Dovrebbe esserci però qualcun altro che controlla, meglio. Penso alla pulizia, certo. Ma anche, per esempio, che nessuno appicchi il fuoco. E quel qualcuno possono e devono essere le istituzioni».

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La scrittrice catanese Goliarda Sapienza (1924-1996)

Uno scrittore per scoprirla ancora meglio?
«Tra i Pirandello e i Camilleri dico anche Goliarda Sapienza, una scrittrice donna che a me piace molto. Il suo L’arte della gioia che mi fu consigliato da una signora armena che era seduta accanto a me a una sfilata mi ha aperto un altro mondo».

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