Andiamo alla scoperta del Castello Incantato e dei suoi suggestivi e magici giardini del Museo, scopriamoli insieme!
Dalla pietra grezza prende forma la vita, e le ferite provate si imprimono. Dalla pietra nuda emergono le “anime” che popolano il Castello Incantato di Filippo Bentivegna, un cittadino di Sciacca, nato nel 1888 e scomparso nel 1967.
In questo luogo, situato a breve distanza dal centro abitato di abili pescatori, sulle pendici del monte Kronio nella provincia di Agrigento, si trova la visione totemica dei volti che un tempo animavano la mente di Filippo Bentivegna. Scopriamo insieme il Castello Incantato e i suoi suggestivi giardini dove sono collocate le meravigliose sculture di Filippo Bentivegna.
Chi è l’artista Filippo Bentivegna
Un uomo analfabeta, di umile origine contadina, distante dagli insegnamenti accademici e dall’ambiente dell’arte ufficiale governato da definizioni e tendenze. Un autodidatta, privo di istruzione elementare, che nell’universo marinaro aveva imparato le leggi del mare: da solo aveva creato un mondo proprio per sfuggire a quello reale, crudele e spietato. Aveva plasmato un paradiso poetico, un rifugio sicuro, scolpito nella dura pietra, onesto e autentico come il suo spirito.
A Sciacca, il Castello Incantato – che in realtà non è un vero castello – si offre agli occhi degli osservatori come una comunità di abitanti di pietra con i quali Bentivegna viveva e comunicava. Ogni volto scolpito dall’artista aveva un nome, ogni testa modellata nel legno dell’ulivo raccontava una storia.
Filippo, il sovrano incontrastato del suo regno, lo chiamavano “Sua Eccellenza” da coloro che lo visitavano. Non era scontato che permettesse a tutti di dialogare con gli “abitanti” silenziosi della città riedificata.
La volontà di Filippo Bentivegna era di recuperare la memoria ferita, a partire dal giorno in cui, negli Stati Uniti, dove si era trasferito per lavoro, lo avevano aggredito e gravemente ferito alla testa, poi abbandonato in mezzo alla strada, forse da un rivale in amore. Inoltre, il suo desiderio di sposare una giovane donna americana glielo avevano spezzato brutalmente.
“Filippo il pazzo”: così lo chiamavano quando tornò nella sua città natale dopo la Grande Guerra. Ferito dalla violenza subita, Filippo sembrava un folle, sognava un mondo diverso e veniva deriso e umiliato.
Nel frattempo, il Castello Incantato, la nuova città da lui plasmata, prendeva forma con la sua potenza e grandezza. Un campo di rocce, il suo mondo, si tramutava in un museo a cielo aperto. Un’enorme opera che, dopo la sua morte, rimase abbandonata per anni, soggetta a saccheggi. È difficile capire come sia stato possibile.
Fortunatamente, nel 1968, un collaboratore di Jean Dubuffet, un artista e teorico dell’Art Brut, ebbe l’opportunità di visitare il podere. In dono a Dubuffet, hanno portate alcune delle “teste” di Filippo, inserite nella sua personale collezione nel 1971 e poi esposte a Losanna, presso il Museo dell’Art Brut nel 1976.
IL CASTELLO INCANTATO
Nel 1973, la Regione Sicilia acquisì la collezione dagli eredi e l’11 febbraio 2015, il “Castello Incantato” lo hanno ufficialmente riconosciuto come bene culturale ai sensi del Codice dei Beni Culturali della Repubblica Italiana. È stato necessario del tempo per riconoscere tanta bellezza e per attestare ufficialmente che l’arte nasce dall’estro creativo e non conosce pregiudizi né categorie.
Immersi nel giardino incantato, ci si trova circondati da innumerevoli teste, inevitabilmente colti da stupore. La collina è dominata da un mare di pietra viva: le linee delle pendici fungono da sentieri, e le teste che emergono invitano al silenzio per contemplare il connubio tra pietra e alberi.
Il messaggio sembra chiaro: c’è tanto da scoprire nel silenzio della natura. Tra le rocce abbraccianti e le grotte scolpite dalle mani di Bentivegna, sorge una grande illusione: sembra di osservare, ma in realtà sono le teste stesse a scrutare i passanti, a volte con un accenno di sorriso.
Profili dettagliati e altri solo abbozzati, si susseguono conducendo verso il cuore del giardino di pietra, dove si trova la modesta casetta in cui Bentivegna viveva e riposava dopo l’intenso lavoro di scolpire e intagliare.
Le pareti dell’antro, che si apre come un grembo tra gli alberi vergini, raccontano con affreschi che il periodo che ha trascorso negli Stati Uniti è stato contraddistinto da speranze e tragedie.
Grattacieli si erigono in cielo, tra case e chiese, su uno specchio di pesci in cui i grandi inglobano i piccoli. Nell’agglomerato di edifici dipinti dall’artista si intravede malinconia e tristezza, senza un’autentica accoglienza. Filippo Bentivegna era un geniale artista. Su questo non vi è alcun dubbio.