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Iscritti all’Università: ecco i numeri e la panoramica degli studenti in Italia svelata dal rapporto ANVUR


Pubblicato il rapporto ANVUR che attraverso una fotografia degli studenti iscritti all’università ci aiuta a comprendere i numeri e capire la dinamica degli studenti iscritti.

Rapporto Anvur
Rapporto Anvur – Fonte Redazione web

Nel corso degli ultimi dieci anni, il numero di studenti iscritti alle università è cresciuto di oltre il 10%. Questo incremento è attribuibile principalmente alle istituzioni universitarie telematiche. Tuttavia, le università tradizionali situate nel Sud stanno registrando una diminuzione di studenti, a vantaggio delle loro controparti settentrionali.

Gli iscritti, ecco i numeri

Il rapporto dell’Anvur per il 2023, il quale, a causa delle implicazioni del Covid, arriva cinque anni dopo la precedente edizione, offre l’opportunità di aggiornare il quadro dell’istruzione universitaria italiana. In questo contributo, ci concentreremo sugli studenti e, in particolare, esamineremo l’evoluzione delle iscrizioni. È quasi ovvio evidenziare come uno dei principali ostacoli che l’Italia affronta sia rappresentato dalla bassa percentuale di laureati rispetto ad altri paesi avanzati. Questo problema trova le sue radici soprattutto nella limitata inclinazione dei giovani italiani ad accedere all’istruzione universitaria: incrementare il numero degli iscritti costituisce pertanto il primo passo per colmare il divario che l’Italia presenta in questo ambito.

La buona notizia consiste nell’aumento del 10,3% del totale degli studenti universitari nel corso del decennio compreso tra l’anno accademico 2011-2012 e il 2021-2022, nonostante una diminuzione del 5% della popolazione tra i 18 e i 24 anni nello stesso periodo. L’andamento in questi anni rivela un percorso peculiare: nella fase iniziale, fino al 2016-2017, le iscrizioni sono diminuite di quasi 100.000 unità; da allora si è verificata un’inversione di tendenza, culminata nel 2021-2022 con un totale di 1,95 milioni di studenti iscritti, nonostante nel frattempo la popolazione di riferimento sia scesa del quasi 2%. Come esamineremo, le università telematiche rivestono un ruolo fondamentale in questa dinamica. Gli iscritti ai corsi di laurea triennali costituiscono la maggioranza, rappresentando il 63% del totale: questa percentuale è rimasta costante nell’ultimo decennio, a differenza dei corsi a ciclo unico (in particolare Giurisprudenza, Medicina e Scienze della formazione primaria), la cui quota è scesa al 16%.

Analizzando il totale degli studenti attraverso le immatricolazioni, ossia le iscrizioni al primo anno dei corsi di laurea triennale, che ammontavano a 331.500 nel 2021-2022, possiamo notare un incremento significativo rispetto ai periodi centrali dell’ultimo decennio, quando i numeri non superavano i 270.000 nuovi studenti: dal 2019-2020 è stata costantemente superata la soglia dei 300.000 nuove iscrizioni. Tuttavia, nel 2021-2022 si è registrato un lieve calo rispetto all’anno precedente (-1,4%), che a sua volta era stato influenzato dall’insorgere della pandemia. Nel 2020, infatti, l’aumento della soglia di esenzione dalle tasse universitarie e la mancanza di alternative in un mercato del lavoro impattato dal Covid-19 avevano spinto molti diplomati – in parte inaspettatamente – a optare per il proseguimento degli studi; un fenomeno che si è in parte attenuato l’anno successivo. Sarà interessante osservare nei prossimi anni se e su quali cifre il flusso di nuovi ingressi si stabilizzerà.

Quanto contano le università telematiche

Vi sono due temi legati alle iscrizioni che richiedono un’analisi più approfondita: l’aumento dell’importanza delle università telematiche e il declino degli atenei meridionali. Uno dei fattori più rilevanti emersi dal Rapporto Anvur riguarda il mutamento nella composizione degli iscritti negli ultimi dieci anni: mentre le università pubbliche hanno visto una diminuzione (-19.000 studenti), il numero di studenti nelle università private è cresciuto (22.000) e, soprattutto, nelle università telematiche (180.000), con un aumento di cinque volte nel corso di un decennio. In altre parole, l’incremento di iscritti e matricole è principalmente attribuibile alle istituzioni a distanza, mentre le università in presenza mostrano una minore spinta. Ciò è dovuto a diverse ragioni: la percezione di un minor rigore nelle valutazioni presso le università telematiche, una maggiore flessibilità nella gestione dei tempi e delle presenze, l’assenza di costi legati al trasferimento per coloro che non risiedono nelle città universitarie (parzialmente bilanciata da tasse universitarie più elevate), l’ulteriore familiarità con la modalità di insegnamento a distanza dopo l’esperienza della pandemia, requisiti meno stringenti per l’insegnamento che permettono di organizzare un’ampia offerta formativa e di creare “classi” più numerose. Tuttavia, esiste anche un lato negativo: la scarsa reputazione delle lauree ottenute presso le università telematiche, che le rende “una scelta di minor valore”, soprattutto per coloro che intendono trovare impiego nel settore privato anziché tramite concorso nella pubblica amministrazione. Sarebbe auspicabile che anche le università pubbliche offrissero corsi a distanza con maggiore impegno, al fine di elevare il complessivo livello qualitativo.

I dati forniti dall’Anvur rivelano come l’università a distanza attragga un pubblico piuttosto diverso rispetto agli iscritti delle istituzioni universitarie tradizionali: sono prevalentemente persone più mature, spesso già occupate e, in metà dei casi, provenienti da un’esperienza di abbandono di un percorso di studi tradizionale. Nonostante siano evidenti alcune sovrapposizioni in determinati ambiti tematici, come quelli legati alla psicologia e alla pedagogia, o geografici, come nel caso del Sud Italia, lo sviluppo delle università telematiche sembra non avere un impatto particolarmente negativo sulle istituzioni esistenti, le quali attraggono principalmente studenti con caratteristiche differenti.

Un piccolo focus su quello che succede negli atenei del Sud

Un altro dato del Rapporto che suscita notevole interesse riguarda la diminuzione delle iscrizioni nelle università del Sud: nel corso degli ultimi dieci anni, le istituzioni universitarie meridionali (ad eccezione di quelle telematiche) hanno registrato una perdita di oltre 100.000 iscritti, mentre il Nord ha visto un incremento di 130.000 iscritti, particolarmente significativo nelle regioni occidentali (vedi Figura 1).

Nel corso del decennio, alcune regioni meridionali hanno subito un vero e proprio crollo delle iscrizioni, superiore alle tendenze demografiche: ad esempio, in Abruzzo il declino è stato oltre il 30%, seguito a stretto giro da Basilicata, Calabria e Sicilia.

Gli studenti stanno mostrando una tendenza sempre più marcata a spostarsi lungo l’asse Sud-Nord. L’Emilia-Romagna è la regione che attira il maggior numero di studenti da altre parti del paese (non solo meridionali), con una media di 4,3 studenti per ogni emiliano che si trasferisce, seguita da Lazio (3,1) e Lombardia (2,2); d’altro canto, le regioni del Sud perdono 10 studenti per ogni nuovo ingresso verso le sedi universitarie fuori regione. Come osserva il Rapporto: “la situazione che emerge riflette un paese in cui alcune regioni del Nord risultano sempre più attrattive, mentre altre aree, soprattutto al Sud e nelle Isole, stanno subendo una perdita strutturale di iscritti”.

In questa situazione, ci sono diverse ragioni all’origine: la più evidente è che al momento della scelta universitaria, gli studenti anticipano le prospettive lavorative, che sono sicuramente più ampie al Nord rispetto al Sud. In secondo luogo, le università meridionali sono state colpite in modo più marcato dall’aumento delle iscrizioni alle istituzioni telematiche, presumibilmente a causa della maggiore affinità tra i tipi di studenti che optano per i corsi online. Inoltre, l’offerta formativa delle università del Sud è spesso percepita come meno attraente rispetto a quella delle controparti settentrionali: nonostante alcune eccellenze, le università meridionali faticano a mantenere standard elevati in tutti i settori, come evidenziato dai risultati dei Dipartimenti di eccellenza. Per invertire questa tendenza al declino, sembra ragionevole che le università del Sud smettano di coprire tutti i campi del sapere, concentrandosi invece su quelli in cui sono in grado di offrire una qualità del servizio almeno pari a quella delle università del Nord.

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