Ci sono mestieri che si sognano sin da bambini. Da grande farò…e con la mente si costruiscono avventure fantastiche. A 12 anni ho deciso che avrei fatto archeologia. Non sapevo la mole di studio che avrei dovuto affrontare. Ho deciso e basta. Da allora ho girato, complice una famiglia che assecondava questo mio sogno, gli angoli più remoti di quello scrigno di tesori che è la Sicilia.
Da allora ho sempre studiato: la laurea in Lettere Classiche con indirizzo archeologico; tre anni di specializzazione a Lecce; tre anni di dottorato a Napoli. Quattro anni di assegno di ricerca. Uno di monografia, alcuni libri a più firme, articoli scientifici.
Subito dopo la laurea ho cominciato a lavorare a contratto con la sovrintendenza o con l’università. Ho cominciato la carriera universitaria come docente a contratto. Tutto lasciava presagire il lieto fine.
Quando si sceglie la carriera archeologica si pensa a scoperte misteriose, a esperienze fantasmagoriche. Quando ti chiedono che lavoro fai, alla tua risposta «archeologo», l’altro si illumina e ti dice quasi sempre «fantastico! Anche io da piccolo lo sognavo».
Pochi sanno che fare archeologia significa anche stare sulla cima di una montagna con 40 gradi all’ombra oppure con un freddo che divora le ossa. Ma tutto si affronta con il “fuoco sacro”. Nessuna cosa appare un sacrificio. Basta pensare che le case dove si vive quando lavoriamo fuori, le chiamiamo “missioni”. E fare archeologia è una missione, che assorbe tutto il tempo libero, le amicizie, gli hobby.
E in una Regione dove i beni culturali potrebbero essere la principale fonte di reddito, in una Regione che per il clima potrebbe essere la Florida d’Europa, perché mai non dovrebbe lavorare un archeologo?
Sono cresciuta divorando libri e assorbendo convegni. Ho istruito due generazioni di studenti. Ho sacrificato tante cose importanti della mia vita sull’altare di una cosa che sembrava concreta. Poi è bastata una riforma sbagliata in un momento sbagliato e così è deragliato il treno del concorso per ricercatore che aspettavo alla fermata con i miei titoli sotto braccio.
I contratti sono diventati a titolo gratuito o retribuiti pochissimo e in tempi biblici. Anche dalla Regione sempre meno. A chi è venuto dopo di me ho sempre insegnato per questo a lasciarsi aperte altre strade. Anche se oggi le nuove lauree sono ancora più settoriali e quindi più restrittive per inserirsi nel mondo del lavoro.
Oggi, a 43 anni, non credendo più alle favole, il concorso per ricercatore – un nuovo contratto, comunque, a tempo determinato – appare ormai un miraggio.
Quindi, cosa farò da grande? La disoccupata. Di eccellenza forse, con quattordici pagine di inutile curriculum iperspecialistico, ma sempre disoccupata e senza speranza rimango.
Una sola frase: non è un Paese di cultura, anche se deteniamo il 75% dei beni culturali del mondo.
Quanta amarezza e come ti capisco!!!