E chi se la scorda la prima materia data all’Università.
Sì, era il lontano gennaio del 2002 e la prima grande prova che scelsi per tentare di inaugurare il mio libretto universitario fu Storia delle Dottrine Politiche, dopo avere seguito tutte – e sottolineo tutte – le lezioni del professore Eugenio Guccione.
Come ogni matricola che si rispetti, infatti, seguire le prime materie della Facoltà di Scienze Politiche era un’attività necessaria, proseguimento naturale delle lezioni al liceo (mentre, nel corso dei mesi/anni, cominciò ad insinuarsi il metodo universitario per eccellenza: «Vado in facoltà solo per prendere il programma, imbucare lo statino e sostenere l’esame»).
E la prima regola a lezione era: «Appunta tutto quello che dice il professore, finanche le virgole, perché sia mai che all’esame possa chiederti qualcosa di cui nei libri non c’è traccia».
E, poi, ce n’era una seconda: «Fatti notare». Magari alla conclusione della lezione su un dato filosofo, alzando la mano e facendo una domanda, la prima che ti passava per la testa.
Sì, perché l’obiettivo era: «Il professore deve sapere che esisti prima di guardarti in faccia al momento dell’esame».
Si rischia così di risultare antipatici ai colleghi? Pazienza. Non saranno loro a darti il voto che ti serve.
Anche perché il primo giudizio è essenziale, tale da caratterizzare tutto il prosieguo degli studi. Un 18 (o peggio una bocciatura) potrebbe indurti a pensare: «Che diavolo ci faccio qui?».
Un 30, invece, l’esatto opposto: «Ecco, ho fatto la scelta giusta!».
Quella materia, poi, fu caratterizzata da un’altra rarità: studiare seguendo l’andamento delle lezioni.
Guccione affrontava l’argomento Tocqueville? Allora non si poteva non studiarlo prima del prossimo appuntamento con il professore.
In pratica, tutto il contrario di quanto avverrà dopo, ovvero studiare a pochi giorni dall’esame (a volte con tour de force il giorno prima).
E la notte prima dell’esame? In tensione naturalmente.
E la sveglia l’indomani? Alle cinque (l’appello era alle 9).
Non avrei mai potuto, infatti, andare verso la Facoltà senza ripassare almeno i “punti oscuri“, ovvero quelli che non avevo ricordato bene nel “ripassone” del giorno prima.
E il momento clou? Sì, quando sei di fronte al professore e ai suoi assistenti.
E rispondi alla prima, alla seconda e alla terza domanda…
Tutto filò liscio come l’olio e il voto fu quello che mi produsse un sorriso da paresi facciale: trenta.
Giudizio che guardai per giorni e giorni sul libretto, come se stessi ammirando la foto della donna più sexy del Pianeta.
Ma poi ci furono tutti gli altri esami… e da matricola divenni lo studente universitario “tipo” (a voi definirne le caratteristiche).
A che ci siamo: che ricordi avete del vostro primo esame?
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