È un termine americano, ma secondo gli economisti risulta essere il trend del momento, anche in Italia. Il “Great Resignation” prende forma e dà forza ai giovani italiani sfruttati. Un fenomeno che sta invadendo il mondo intero e su cui anche i più grandi esperti si stanno ponendo grossi interrogativi.
“Ho studiato per anni e ci ho sempre creduto. Ho rinunciato a tanto, per ritrovarmi impegnato ogni santo giorno, weekend spesso compresi, in un lavoro che mi annoia, scarsamente stipendiato, alle dipendenze di un capo che mi rende la vita impossibile. Mi sono licenziato e ora quello che mi chiedo è come ho fatto a resistere così a lungo”. Questo è il racconto, portato in auge dall’Huffinghton Post, di Paolo, un avvocato 34enne residente a Milano.
Per molti il 2021 è l’anno delle dimissioni, oltre che dei licenziamenti. Sempre più persone stanno lasciando il proprio lavoro, alla ricerca di una collocazione più adeguata alle proprie conoscenze – non necessariamente meglio retribuita – per sfuggire al burn out, l’esaurimento generato da una professione logorante sotto vari aspetti.
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“Mi licenzio, anni di studio per essere sfruttati così”: l’ira dei giovani
Le Note trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie, pubblicate dal ministero del Lavoro, dichiarano che il secondo trimestre del 2021 contiene un aumento considerevole del numero di contratti terminati a causa di dimissioni del dipendente.
Sono 484mila dimissioni le dimissioni registrate tra aprile e giugno 2021. L’incremento nel numero di dimissioni rispetto al trimestre precedente è del 37 per cento. Una crescita che raggiunge l’85 per cento se si fa il paragone con il secondo trimestre del 2020. Del 10% se si guarda al 2019.