Il professore universitario Sergio Barile ha parlato del caso che lo vede accusato dell’ottenimento della seconda laurea grazie agli esami di un omonimo. A riportare l’intervista è il quotidiano la Repubblica.
Barile è accusato di falso ideologico per aver ottenuto una laurea in Fisica all’Università di Roma La Sapienza, approfittando di un caso di omonimia e non avendo, di fatto, mai sostenuto gli esami necessari per arrivare alla discussione finale. Il professore insegna Economia grazie al suo primo titolo di studio.
Il professore racconta: ”Mi è stato subito comunicato che la laurea non era valida. Quindi non ho avuto alcuna occasione per approfittarne. Possiamo dire così: se ho approfittato è perché mi sono divertito a discutere quella tesi”. Prima della laurea, racconta il docente, la segreteria didattica “procede alla ricostruzione di carriera dello studente, dove vengono ricapitolati tutti gli esami e si fa un riscontro definitivo. Nel mio caso però, come in molti altri in quel periodo, questo procedimento amministrativo non c’è stato perché gli uffici erano in smart working per via del Covid”.
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Parla il prof. universitario laureato con gli esami di un omonimo
“Lo scambio di persona è avvenuto non solo perché abbiamo lo stesso nome e perché siamo nati nello stesso giorno, ma il mio omonimo si è iscritto fuori corso nello stesso giorno in cui io mi sono iscritto al corso di laurea in Fisica. Non solo: proprio in quei mesi il cervellone della Sapienza è migrato da un sistema informatico a un altro. È una situazione kafkiana”.
Stando sempre al suo racconto, sarebbe stata l’Università la Sapienza a spiegargli “come avrebbe potuto risolvere la questione, pagando anche le tasse arretrate”. E lui avrebbe “pagato 7.500 euro per mettere a posto la mia posizione. Una cifra forfettaria indicata dall’istituto. A quel punto ho potuto sostenere l’esame di laurea, preparando una tesi sulla fisica delle dinamiche sociali”. Intanto la sua cattedra in Economia resta (e non si tocca): “E come me la tolgono la cattedra? Credo che in Italia viga ancora la presunzione di innocenza”.