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“Perderò la borsa di studio, mi ammazzo”: le colpe delle Università che abbandonano i più deboli


L’ultimo gesto estremo è avvenuto a Pavia e a compierlo è stato un ragazzo di 30enne che studiava Medicina. Negli ultimi anni i suicidi tra la popolazione universitaria non si sono mai placati. Un’emorragia a cui gli atenei hanno dato sempre poca importanza, perché non eccessiva. Ma la problematica persiste.

Sporadicamente si legge su qualche pagina locale di suicidi tra i 20enni e 30enni, non è mai un racconto centrale. Invece dovrebbe esserlo, soprattutto per le istituzioni. Addirittura il 30enne di Pavia prima del suicidio ha inviato un’email al rettore del suo ateneo in cui spiegava che il suo suicidio era legato alla perdita della borsa di studio e del posto alla residenza universitaria.

Un racconto da brividi, al solo pensiero. Il rettore dell’Università di Pavia dopo aver saputo della notizia e aver letto l’email ha dichiarato il rettore dell’Università Francesco Svelto: “Il dolore per una tragedia di questo tipo prevale su tutto – commenta il rettore Svelto -. Nel merito di quanto scrive lo studente ero già intervenuto in passato. Quello che posso fare sui regolamenti è sensibilizzare i colleghi, e che il tema venga trattato con serietà anche in commissione paritetica”.

Quanto fanno davvero le Università in Italia? Per aiutare tutte quelle persone che hanno bisogno di un sostegno, innanzitutto psicologico e poi economico. Si sa che nell’era del profitto quelli inefficienti devono essere scartati, in po’ come se fossero degli oggetti

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