“Sono vittima di odio di genere”, lamenta Valentina Petrillo, la prima atleta paralimpica trans gender a gareggiare tra le donne. Ma le competitor lamentano: “Ha struttura fisica maschile, noi discriminate”
Si sente donna, gareggia tra le donne. Corre forte e vince. Nel suo palmares ci sono medaglie, record, primi posti: i più recenti conquistati ad Ancona una settimana fa, sui 200 e 400 metri. Ma Valentina Petrillo, la prima atleta paralimpica transgender a gareggiare nella categoria femminile, non nasconde il suo avvilimento. Lei, che un tempo era Fabrizio e che già da uomo aveva conquistato successi in pista, lamenta infatti di sentirsi discriminata, di essere vittima di “odio di genere“. Ma ad avvertire un’analoga discriminazione sportiva – in senso opposto però – sarebbero anche le atlete donne trovatesi a competere con lei.
“Io vittima di odio”. Parla l’atleta trans gender
Le vittorie di Petrillo stanno infatti facendo discutere e c’è chi parla di “ingiustizia biologica“, ritenendo che una persona con struttura fisica maschile non dovrebbe competere con le donne. “Un atleta uomo, ad Ancona, mi ha accusato di voler vincere facile e mi ha invitato a correre nella sua categoria. A tutte queste persone, faccio presente che io rispetto le regole, non accetto accuse basate sul nulla“, ha affermato Petrillo al Corriere, aggiungedo poi: “Sono vittima di odio di genere, tanto grave quanto la xenofobia verso un atleta che non è considerato italiano perché di colore, come Paola Egonu“. Il paragone con la pallavolista veneta, tuttavia, non ci è sembrato tra i più calzanti, se non altro perché pronunciato proprio nei giorni in cui si è appreso che l’atleta tornerà a giocare nel nostro Paese, dopo aver accusato gli italiani di essere razzisti.
“Noi molto discriminate”. Lo sfogo delle competitor donne
Al netto delle biasimevoli offese social nei confronti dell’atleta ipovedente, tuttavia, la questione non ha a che fare con l’omotransfobia. Il tema piuttosto è agonistico. A sollevare perplessità al riguardo sarebbero state anche le colleghe di Petrillo. Il sito Feminist post ha ad esempio raccolto e riportato lo sfogo pronunciato dalla velocista Cristina Sanulli dopo le recenti gare di Ancona. “Parlo anche a nome della maggior parte delle ragazze che corrono con me: non ci sentiamo alla pari, proprio perché la struttura fisica (di Petrillo) è maschile, e quindi è come correre non alla pari (…) Nonostante il percorso personale che ha fatto Valentina sia di tutto rispetto, atleticamente parlando non lo è, e in questo ci sentiamo molto discriminate“, ha dichiarato la sportiva, secondo quanto riportato da Marco Alciator. “Un po’ di amaro in bocca c’è, perché il mio tempo sarebbe stato record italiano ma Valentina Petrillo con un tempo di 26.25 me l’ha battuto”, ha spiegato Sanulli.
E un’altra atleta, Agnese Rossi, ha allo stesso modo confidato il proprio disappunto a Feminist Post: “Lo spirito sportivo prevede di riconoscere quando ci sono atlete più forti, ma la competizione deve avvenire con il rispetto della categoria: con atlete dello stesso sesso, non con chi ha mantenuto corpo da uomo“.
Il testosterone, le medicine, la transizione
Difendendo il proprio diritto di gareggiare tra le donne, tuttavia, la velocista paralimpica transgender ha spiegato al Corriere di doversi attenere a un preciso regolamento. “I livelli di testosterone devono essere bassi e ogni settimana faccio gli esami del sangue. Chi parla a vanvera non sa che mi sottopongo alla terapia ormonale femminilizzante, che ti distrugge. Assumo medicine antitumorali, che abbassano emoglobina e ematocrito: ho freddo, ingrasso, ho le mani gonfie, dolori“, ha affermato, raccontando anche i disagi nel periodo della transizione. “Dovevo correre con i maschi e non me la sentivo. Ci sono voluti cinque anni per essere riabilitata in questa società che mi definiva non conforme“.
Il dibattito nel mondo sportivo
Valentina, che prima si chiamava Fabrizio e aveva un matrimonio da cui è nato suo figlio di 7 anni, aveva infatti iniziato la transizione nel 2018. Quel percorso l’avrebbe poi portata – sul fronte sportivo – a passare dalla categoria maschile a quella femminile. Ma, proprio in ambito agonistico, il tentativo di far passare questa situazione come ovvia non ci sembra del tutto corretto. Chi segue lo sport sa infatti che la questione è articolata e dibattuta. Il mondo sportivo da tempo si sta interrogando sul tema sull’eventuale “vantaggio biogico” che potrebbe agevolare le atlete trans rispetto alle competitor donne. Buttarla sulla discriminazione o sulla rivendicazioni di presunti diritti Lgbt sembra quasi un modo per non affrontare la controversa questione nei dettagli.
Lo scorso giugno, ad esempio, la Federazione internazionale di nuoto (Fina) aveva votato contro la possibilità alle atlete transgender di gareggiare nelle competizioni d’élite femminili. Secondo le nuove direttive, per accedervi le nuotatrici devono avere completato la transizione di genere entro i 12 anni, eventualità abbastanza remota visti i tempi tecnici e psicologici che necessita tale percorso. La decisione aveva riguardato nell’immediato la nuotatrice Lia Thomas, entrata nella squadra femminile. E già nel 2019 l’ex tennista americana Martina Navratilova, lesbica e icona gay, aveva criticato duramente la partecipazione di atlete transgender alle competizioni femminili. “Una pratica folle, un vero imbroglio“, disse. Non mancarono le polemiche.
Valentina Petrillo, le prossime gare: “Punto alle olimpiadi”
In Italia, intanto, Valentina Petrillo pensa già ai prossimi traguardi sportivi e domenica sarà in posta ai campionati mondiali indoor a Torun, in Polonia. “Sono già arrivati messaggi aggressivi al comitato organizzatore ed è stata allertata la sicurezza. Ho paura di ritorsioni nei miei confronti. Potrebbero farmi di tutto, anche uno sgambetto. Non deve accadere: a luglio, a Parigi, voglio qualificarmi per le Olimpiadi”, ha lamentato la velocista, sulla quale è stato realizzato anche un docufilm. A tornare a correre saranno probabilmente anche le polemiche.