Professore universitario dice no al Green Pass obbligatorio e si dimette. Attraverso una lettera spiega il perché della sua scelta. “Davvero non ho intenzione, nel contesto, nelle forme e nei toni con cui oggi viene richiesto, di esibire il lasciapassare verde per insegnare. Per andare in biblioteca. Entrare nel mio studio. Incontrare gli studenti, i laureandi, i dottorandi”. E’ scritto questo nella lettera pubblicata ieri su La Verità del professore Marco Villoresi, docente di Italianistica presso l’università di Firenze.
Uno scritto che, dichiara il professore, vuole avere il valore della testimonianza “inevitabilmente parziale, irriducibilmente soggettiva», della scelta di rinunciare all’insegnamento per non essere costretto a esibire il Green pass. Una decisione sofferta ma irrinunciabile, spiega il professore, che nero su bianco dichiara: «Scelgo il confino volontario da libero cittadino“.
Un gesto significativo, quello di Villoresi, che – come lui stesso spiega nella missiva – risponde a motivazioni “di ordine politico. Ideologico. Giuridico. Costituzionale. Razionale. Scientifico. Sanitario. Etico. Psicologico e persino psichiatrico. E, soprattutto a una necessità di «resistenza individuale, privata e obbligata di chi sa di perdere molto, se non tutto. Ma intende, insieme alla sua libertà, conservare il rispetto di sé. Dunque – prosegue nella sua testimonianza il prof – sono ben consapevole di ciò che il mio eretico Non serviam! comporta sul piano burocratico ed economico: al momento, la sospensione dal lavoro senza retribuzione. Più avanti, forse, il licenziamento”.
Prof universitario dice no al Green Pass e si licenzia
Inoltre il docente non ha intenzione “di godere di questo inopinato «privilegio coatto» che, diversamente da quanto avviene in tutte le democrazie d’Europa, il governo del nostro paese (e l’Università) vuole concedere, bontà sua, ai docenti, agli amministrativi e agli studenti ben codificati e, sempre e ovunque, scansionabili». Il che non esclude, rimarca il docente, rinunce importanti che Villoresi, usando metafore e rimandi alla pandemia, a dir poco calzanti, elenca in quanto parte integrante del suo impegno accademico. «Chi mi conosce sa bene – rivela Villoresi – che il dispiacere più grande sarà la perdita dell’energizzante contatto con gli studenti: quel salutare assembramento e contagio di intelligenze. Di progetti e di corpi, che resta la cosa più bella e importante. La cosa più vitale del nostro mestiere”.
Ma, prosegue Villoresi nella sua analisi, in cui toni e accenti di una ferma opposizione alla disposizione governativa si fanno più gravi e significativi: “Accetto socraticamente, consentitemi il conforto dell’autoironia, ciò che il governo del nostro Paese (e l’università) ha deciso nei riguardi di chi non esibisce quotidianamente la sua prona adesione al sempre più pervasivo e abusivo controllo biopolitico. Alle limitazioni di diritti fondamentali della persona. E allo stato di emergenza permanente. Accetto, sì, riservandomi, tuttavia, la libertà di pensare e definire tutto questo un abominio. Un abominio che, come sappiamo, presto toccherà in sorte a tutti i lavoratori italiani»… Un abominio a cui il professore ha scelto di sottrarsi. Destinandosi a quello che, nel finale della missiva, definisce «un volontario confino, in partibus infidelium. Così, in attesa di tempi migliori”.