Oggi, alle 16:30, al Teatro Massimo, ci sarà la consegna dei sigilli dell’Università degli Studi di Palermo a 350 dottori di ricerca.
Per l’occasione ci sarà anche il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini.
Parteciperanno anche il Soprintendente del Teatro Massimo, il prefetto Fabio Carapezza Guttuso, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, il rettore dell’Ateneo palermitano, Roberto Lagalla, il rappresentante dei dottorandi, Antonino Lo Burgio, il delegato del rettore per la Carta Europea dei Ricercatori, Eleonora Riva Sanseverino, il vicepresidente di Confindustria, Ivanhoe Lo Bello.
Ci sarà l’esibizione del Coro di voci bianche e la proiezione di un video con protagoniste giovani imprese siciliane nate nel seno dell’incubatore d’impresa dell’Università di Palermo, guidato da Umberto La Commare.
Alcune riflessioni sulla cerimonia di ieri
Il 9 giugno si è tenuta per la prima volta nella storia delle università siciliane una cerimonia di proclamazione dei dottori di ricerca. Il PhD, il titolo più alto riconosciuto nel panorama mondiale accademico è una realtà abbastanza recente nel nostro paese che risale agni anni ’80. Ad oggi Italia è ancora indietro – OCSE indica che in Italia vi è un dottore di ricerca ogni mille persone contro 16 in Svizzera e via dicendo.
Appare così chiaro che la pregevole iniziativa, organizzata su impulso dell’Associazione dottori di ricerca dell’Università di Palermo, rivesta un significato importante, specie in una regione dove l’emorragia giovani, titolati o meno, è all’ordine del giorno.
Da giovani riceratori il minimo che ci si può chiedere è una sana e cruda onestà intellettuale: non tutto è andato bene, e nell’ottica di fornire consigli per il futuro, con il solo scopo di favorire la crescita dell’Università di Palermo e della nostra terra, mi permetto di offrire alcuni consigli.
Prima di tutto, il centro della cerimonia dovrebbero essere gli studenti: appare scontato, ma così non è stato. Vari segnali rinforzano l’idea che al centro dell’iniziativa non ci fossero gli studenti: la posizione dei dottori di ricerca (nell’invito era scritto “dalla terza fila” mentre all’ingresso ci è stato comunicato di sederci dall’undicesima in poi); il tempo dedicato: 20 minuti a fronte di quasi 3h di cerimonia; il numero di interventi: dei 9 interventi programmati, solo 1 era dedicato al rappresentante degli studenti.
Peraltro, l’assenza di Crocetta e Orlando (per impegni istituzionali) è da tenere a mente quando lorsignori parleranno di innovazione, ricerca e sviluppo.
In generale, a fronte di 2h di chiacchere (poco interessanti), agli studenti e alle loro idee sono stati riservati 12 minuti, con 4 filmati, prevalentemente legati all’ingegneria. Nulla quaestio sulla bravura dei miei colleghi, ma un po’ di amaro in bocca mi è rimasto. Mi sarebbe piaciuto sapere di più della triennale ricerca dei miei 305 colleghi; in una città dove turismo non funziona, cosa hanno pensato i colleghi del dottorato in scienze turistiche? E i colleghi di storia della architettura e conservazione dei beni architettonici non avrebbero nulla da dire in una terra dove le ricchezze sono in fase di abbandono? Accanto a me era seduto un dottorando la cui tesi insisteva sugli errori manageriali e di governance di AMIA: davvero in una regione in cui le partecipate pubbliche funzionanti si contano sulla punta delle dita il suo lavoro è superfluo? I colleghi delle scienze sociali (giurisprudenza, scienze politiche, economia) nulla hanno da dire sulla formazione della futura classe dirigente di questa regione? Vogliamo ignorare i colleghi di Tecnica ed economia dei trasporti in una regione dove l’improvvisazione sul tema dei trasporti e del TPL impera? Nulla dai colleghi di diritto in diritti umani quando lo sbarco di migliaia di disperati è all’ordine del giorno? Si parla tanto di cross-fertilization, di versatilità e creatività e poi non vogliamo sentire cosa dicono, anche in poco tempo, i colleghi di lettere e filologia? Più in generale, stiamo diventando un Politecnico o c’è ancora spazio per altro?
Per il futuro, alcuni consigli:
1) gli studenti al centro – le loro storie, le loro idee, chi sono e cosa hanno fatto. Questo deve guidare l’intera organizzazione;
2) cambiate modalità di accreditamento degli ospiti, magari chiedendo il numero di matricola ed evitando il dispiacere di chi non ha potuto far partecipare i propri genitori a fronte di altri che avevano un nutrito parterre (e comunque vi erano diversi posti vuoti, anche nelle prime file);
3) riducete il numero degli interventi! UN saluto istituzionale, il saluto del Rettore che sintetizza magari i risultati dell’Ateneo, e poi un discorso motivazionale: un vecchio studente, un imprenditore, qualcuno che faccia volare alto – tutti ricordiamo “Stay hungry, stay foolish” (https://www.youtube.com/watch?v=fn6tGP9HAcg) o “se volete cambiare il mondo iniziate dal fare il vostro letto! (https://www.youtube.com/watch?v=pxBQLFLei70)” (che detto da un ammiraglio che ha servito nel US Navy Seals fa un certo effetto) – davvero quello che abbiamo visto è il meglio che questa terra e questa università hanno da offrire?
4) Risparmiateci imbarazzati e imbarazzanti rappresentanti del mondo politico che nulla hanno da dirci.
Voliamo alto! Noi dottori di ricerca abbiamo ricevuto tanto da questa comunità: la cerimonia deve essere un modo per iniziare a restituire, con il frutto del nostro lavoro (le nostre idee), quanto abbiamo ricevuto.
Duc in altum!