AstraZeneca prova a rifarsi…il look. Come svelato dal giornalista Franco Bechis, il colosso anglo-svedese per la produzione del vaccino anti-Covid ha deciso di cambiare nome: “La Fda (l’Aifa a stelle strisce) qualche giorno fa aveva respinto la richiesta di autorizzazione al vaccino in emergenza contestando i dati della sperimentazione nella fase III americana”. In particolare gli Stati Uniti hanno avanzato il dubbio che i dati forniti non fossero poi così aggiornati.
“Secondo i dati riportati il vaccino si era rivelato efficace al 79% e al 100% contro il rischio di aggravamento della malattia e l’ospedalizzazione”, spiega il direttore del Tempo – i dati sulla efficacia erano assai diversi in Europa, dove per altro nell’aggiornamento della autorizzazione è stato cambiato anche il nome del vaccino, prima semplicemente AstraZeneca contro il Covid 19, ora con il nome commerciale che ha: ‘Vaxzevria'”.
AstraZeneca e il cambio di nome sospetto
Ecco che allora AstraZeneca ha dovuto adeguarsi fornendo agli americani dati più aggiornati. Qui però la beffa: “Avendone depositato la sintesi alla Sec, si scopre che in realtà quello del 25 marzo è lo stesso identico studio del 22 marzo. Ma riporta 190 casi (non più 141) di vaccinati che si sono ammalati di coronavirus“. Stando a questi numeri la nuova efficacia del vaccino passa dal 79 al 76 per cento. Ma le incongruenze non finiscono qui: “Nei due rapporti – conferma Bechis – ci sono altri particolari modificati. Quello del 21-22 marzo insisteva sul problema che stava facendo il giro del mondo”, sottolineando che “il DSMB non ha riscontrato un aumento del rischio di trombosi o eventi caratterizzanti da trombosi fra i 21.583 partecipanti che hanno ricevuto almeno una dose del vaccino”.
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Tre giorni dopo qualcosa cambia: “Ogni riferimento alla trombosi è scomparso. E chissà se le rassicurazioni date agli americani sono ancora valide, perché l’Ema nel frattempo aveva pubblicato la nuova scheda sul vaccino Vaxzevria- AstraZeneca aggiungendo un capitolo su “Trombocitopenia e disturbi della coagulazione” dove non c’erano affatto parole così rassicuranti come quelle nel primo rapporto americano”. La casa farmaceutica ha infatti svelato di avere ricevuto nel maggio 2020 “un miliardo di dollari dall’agenzia della ricerca pubblica, BARDA. Da qui la conclusione di Bechis: “Se Fda dovesse ancora dire di no – in fondo il messaggio è questo – quel miliardo di dollari sarebbe stato buttato dalla finestra dai contribuenti americani”.