Ora si mira a monitorare l’andamento dell’infezione per adottare tempestivamente misure personalizzate per contenere la diffusione del virus, puntando all’indice Rt sotto 1
L’emergenza Coronavirus ha costretto tutti a prendere contatto con l’indice di trasmissibilità del Covid 19. Quell’ormai famoso R con zero, che si chiama Rt una volta iniziate le misure di lockdown, e indica il numero di infezioni prodotte da una persona che ha contratto la malattia.
Abbiamo chiesto a Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, perché é così importante puntare a un Rt sotto l’1?
«Perchè quando una persona trasmette la malattia a più di una persona, vuol dire che l’epidemia si sta espandendo. Quindi se l’Rt fosse di un valore 2, significa che ogni persona infetta rende infette altre due persone. Questo vuol dire che l’epidemia si espande. Se invece il valore di Rt è al di sotto di 1, vuol dire che una persona non riesce a infettare neanche un’altra persona. Questo vuol dire che l’epidemia è in fase di contrazione, vuol dire che è sotto controllo. Quindi avere questo valore costantemente sotto l’1 è importante perché ci indica che siamo in grado di controllare l’infezione. Quando ci sono pochi casi l’Rt può muoversi anche con una certa flessibilità intorno all’1 ed è però importante collocarlo nel contesto regionale specifico, come stiamo facendo in questi giorni».
I dati della pandemia in Italia sono in miglioramento, anche se a ritmo diverso per il Nord rispetto al Sud e il lockdown è stato allentato. Quanto sarà importante nei prossimi giorni questo dato per valutare le misure da adottare?
«Il sistema che è stato adottato attraverso i decreti del ministro della Salute, che è conseguenza dei Dpcm adottati dalla Presidenza del consiglio, è uno strumento che crea questa cabina di regia che mira a monitorare a livello regionale l’andamento delle infezioni e il rischio di diffusione dell’epidemia. E questo diventa un fattore decisivo, proprio in virtù del fatto che oggi abbiamo regioni con livello di circolazione del virus diverse. Per esempio le regioni del Sud hanno una circolazione più contenuta, anche se ci sono dei focolai, rispetto ad alcune regioni del Nord, come l’Emilia, il Piemonte e la Lombardia, che hanno ancora centinaia di casi al giorno. Questo è un elemento importante perché ci permette, e permetterà soprattutto, in accordo con le regioni, di poter adottare misure personalizzate a livello regionale e locale su come poter meglio contenere la diffusione del virus sotto questo valore di 1».
Ora é fondamentale una diagnosi immediata per isolare le persone infette e quelle potenzialmente infettate. Il nostro Ssn é in grado di fare quello che ha fatto subito la Germania?
«Il nostro servizio sanitario nazionale e quelli regionali si stanno attrezzando per questo. Fa parte anche degli indicatori che sono stati inseriti in questo cruscotto con cui si monitorerà l’andamento dell’epidemia nelle prossime settimane. É uno sforzo che viene fatto sia a livello organizzativo, sia di laboratori che possano fare i tamponi, sia a livello di personale sanitario, in particolare dei professionisti che lavorano nei dipartimenti di prevenzione. É un lavoro fondamentale per andare a intercettare precocemente le persone a rischio e adottare per loro tutte le misure, dal tampone all’isolamento, alla quarantena e quanto necessario, per fare in modo che, se risultassero positive, non trasmettano l’infezione ad altri»
Quanto sono efficaci le zone rosse istituite dove il Covid ha colpito di più?
«Abbiamo un’esperienza iniziale, che è quella di Codogno, dove l’aver istituito una zona rossa, in quel caso molto ampia, di quasi 40mila abitanti, ha portato nell’arco di due settimane a una riduzione significativa dei nuovi casi. E abbiamo visto che adesso anche le micro zone rosse che vengono adottate nei diversi contesti regionali stanno funzionando bene. Laddove c’è un numero di casi concentrati significativamente elevato è importante che quella comunità, o quella struttura, venga rapidamente isolata, venga contenuta in termini di perimetro dei nuovi casi, perchè non si diffondano in altre parti della comunità. Questo è un indicatore molto importante: vuol dire avere capacità di controllo dei focolai che si verificano nelle diverse aree del Paese».
L’ordine degli attuari, i professionisti che effettuano analisi quantitative, calcoli assicurativi, previdenziali e valutazione del rischio hanno affermato che se il trend non cambia a luglio il Coronavirus non farà più male. É anche la sua speranza?
«La speranza c’è, ma se devo dire la mia opinione, noi non abbiamo evidenze che questo possa verificarsi. La speranza è che il numero dei casi sia sempre più contenuto. Sappiamo però che oggi la quantità di italiani che non ha avuto contatto con il virus è molto elevata. La stragrande maggioranza degli italiani, quasi il 90%, forse anche di più – poi dipende da regione a regione – non ha avuto contatto con il virus. Questo fa sì che tutti quelli che non hanno avuto contatto con il virus e quindi non hanno sviluppato una risposta immunitaria, siano persone che se entrano in contatto possono contrarre l’infezione. Quindi manca quello che è l’elemento fondamentale per il controllo della diffusione, che è quella che chiamiamo immunità di gregge, cioé una quantità di persone dentro la comunità sufficientemente ampia che ha sviluppato gli anticorpi per fare in modo che l’introduzione di una persona portatrice del virus non incontri un numero sufficiente di soggetti suscettibili, cioé senza difese immunitarie per poter diffondere l’infezione. Questo lo acquisiremo quando avremo il vaccino».
fonte: Ilsole24ore