Lo stato attuale della normativa sulla marijuana terapeutica e le criticità in materia
In Italia il tema “cannabis” è ancora profondamente irrisolto, specialmente dal punto di vista normativo e il motivo è semplice: questa pianta continua a catalizzare l’attenzione di parti dell’opinione pubblica fortemente contrapposte.
Da una parte c’è chi vuole che il percorso verso una progressiva legalizzazione di questa sostanza prosegua fino a completarsi così come sta avvenendo in altri Paesi. Un percorso che è stato portato avanti anche attraverso l’apertura del legislatore alla vendita di erba legale, disponibile presso numerosi rivenditori come il noto Justbob.
Dall’altra, ci sono ancora numerose persone che si oppongono a tutto questo, demonizzando la cannabis e spingendo per un atteggiamento assolutamente punitivo nei confronti di questa pianta. E tutto ciò si ripercuote anche al livello normativo, con una legislazione che non è stata ancora adeguatamente sviluppata e che presenta numerosi punti oscuri che necessitano ulteriori chiarimenti.
Eppure, si tratta di un tema che va assolutamente affrontato con la massima chiarezza, specialmente per quanto riguarda la possibilità di utilizzare la cannabis come ausilio terapeutico, un’opportunità richiesta a gran voce da migliaia di pazienti.
Nel seguente articolo ci soffermeremo proprio sul tema della marijuana terapeutica, affrontando lo status attuale della normativa in materia.
La regolamentazione della cannabis terapeutica al livello normativo
La prima legge che ha introdotto il concetto di cannabis terapeutica in Italia è il Testo Unico sulle droghe 309 del 1990, che ha stabilito una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, e ha previsto la possibilità di usare la pianta per scopi medici, previa autorizzazione del Ministero della Salute. Tuttavia, il Testo Unico non ha definito i criteri per ottenere tale autorizzazione, né ha specificato quali condizioni mediche potessero beneficiare di tale sostanza.
Per colmare questa lacuna, nel 2013 è stato emanato il decreto del 23 febbraio 2013, che ha stabilito le modalità di produzione, importazione e distribuzione della cannabis terapeutica in Italia, elencando anche le patologie per le quali la può essere prescritta dai medici, tra cui: dolore cronico, nausea e vomito da chemioterapia, anoressia e cachessia da AIDS o cancro, spasticità da sclerosi multipla o lesioni spinali, glaucoma e sindrome di Tourette.
Il decreto ha inoltre previsto che la cannabis terapeutica fosse fornita gratuitamente ai pazienti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), a condizione che fosse prodotta dall’Istituto Farmaceutico Militare (IFM) o importata da paesi esteri autorizzati.
Contraddizioni giuridiche nella normativa sulla cannabis terapeutica: una battaglia tra interpretazioni
Il problema principale legato al decreto del 2013 è il fatto che non è stato chiarito se i pazienti potessero coltivare autonomamente la cannabis per uso personale, né è stato specificatamente regolamentato l’uso di altri prodotti a base di cannabis, come gli oli o gli estratti. In aggiunta, tale norma non ha tenuto conto delle difficoltà pratiche che i pazienti incontrano nel reperire la cannabis terapeutica dal SSN, a causa della scarsa disponibilità, dei lunghi tempi di attesa e dei costi elevati.
Per questi motivi, negli ultimi anni si sono verificati diversi casi di contrasto tra le leggi e i regolamenti in merito e l’interpretazione che ne danno i giudici e le forze dell’ordine. Ad esempio, alcuni tribunali hanno assolto i pazienti che coltivavano la cannabis per uso personale, riconoscendo il loro diritto alla salute e alla dignità, mentre in altri casi i cittadini sono stati condannati per violazione della legge sulle droghe, sostenendo che la coltivazione personale fosse illegale e non giustificata da motivi terapeutici. Allo stesso modo, alcuni giudici hanno autorizzato l’uso di oli o estratti di cannabis per coloro che non rispondevano alle terapie tradizionali. Altri giudici invece hanno negato tale possibilità, affermando che tali prodotti non erano contemplati dal decreto del 2013.
L’accesso alla cannabis terapeutica: prescrizione e acquisto
Per poter prescrivere cannabis terapeutica, il medico deve essere specialista in una delle seguenti discipline: neurologia, oncologia, anestesia e rianimazione, medicina del dolore, medicina palliativa o psichiatria. Inoltre, deve avere una formazione specifica nell’utilizzo medicale della pianta e deve essere iscritto a un registro nazionale gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.
I medici possono prescrivere cannabis terapeutica solo a pazienti che soffrono di una delle patologie previste dalla legge e che non hanno risposto adeguatamente alle terapie convenzionali. La prescrizione deve essere motivata e basata su evidenze scientifiche e il paziente deve essere opportunamente informato sui relativi benefici e rischi per poi, eventualmente, firmare un consenso informato.
La cannabis terapeutica può essere acquistata in due modi: tramite le farmacie ospedaliere o tramite quelle territoriali. In entrambi i casi, il paziente deve presentare la ricetta del medico e un documento di identità.
Il prezzo della cannabis terapeutica varia a seconda della fonte e della qualità e, in linea di massima, quella prodotta in Italia è più economica rispetto a quella importata. Il suo costo è a carico del paziente, salvo casi particolari previsti dalle regioni o dalle aziende sanitarie.
Il ruolo del farmacista nella dispensazione della cannabis terapeutica
Il farmacista ha un ruolo importante nella dispensazione della cannabis terapeutica. Deve verificare la validità della ricetta e la congruità della dose prescritta e consigliare il paziente sul modo corretto di assumere il prodotto (che può essere per via inalatoria, tramite vaporizzatore, per via orale, tramite capsule, o per via topica, tramite creme o pomate.
Deve anche informare il paziente sugli effetti collaterali possibili della cannabis terapeutica, come sonnolenza, vertigini, alterazioni dell’umore, secchezza delle fauci e aumento dell’appetito ed essere chiaro riguardo il non guidare, svolgere attività pericolose o associarla ad altre sostanze come alcol o droghe dopo averla assunta.Infine, il farmacista ha anche il compito di registrare i dati relativi alla dispensazione del medicinale in un sistema informativo nazionale gestito dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Questo permette di monitorare l’uso della cannabis terapeutica in Italia e di prevenire eventuali abusi o frodi.