Da ieri la lettera a cuore aperto e libera dello studente Domenico Portera sta rimbalzando sui social. Il suo titolo è “C’era una volta l’università”. Il giovane universitario, dopo un anno, riavvolge il nastro di cosa fosse la vita prima della pandemia.
Tra ricordi, anedotti e rituali, Domenico catapulta attraverso le sue parole il lettore a Viale delle Scienze, dove tutto è iniziato per molti.
“C’era una volta l’università. L’università delle corse per non fare tardi a lezione. L’università dei pranzi veloci seduti ai bar sovraffollati e delle pause caffè tra una risata e una lamentela. Quella delle aule studio dove ogni rumore corrispondeva a un’occhiataccia di qualcuno e quella del casino nei corridoi e nelle scale a qualunque ora. L’università degli esami impossibili per le lunghe attese nei corridoi, tra chi ride, chi si dispera e chi entra nell’ufficio del professore con il libro in mano pensando di poter ripassare fino all’ultimo secondo. Ma soprattutto c’era l’università delle lezioni in aula con professori e studenti, ognuno con la propria identità, che metteva in mostra se stesso, in modi e misure diversi. C’era l’università fatta di confronti faccia a faccia, di sguardi diretti e senza filtri. L’università delle relazioni sociali, quella che ti permette di crescere come persona e integrarti nel mondo sociale”.
Lo sfogo dello studente: “C’era una volta l’università”
Lo studente nella seconda parte del racconto si domanda cosa resta dello spirito universitario.
“Cosa è rimasto di quell’università? Chat online con tanti nomi insignificanti, senza volti o identità. Per quanto sia indiscutibile la comodità e l’utilità di questa nuova possibilità, non si può chiamare Università quella che concede di seguire le lezioni dal letto ancora in pigiama, quella in cui si è sempre da soli con uno schermo davanti, in cui non si parla e non si conosce nessuno, non ci si relaziona, non si coltiva nulla che possa farci crescere.L’Università è innanzitutto una comunità, e una comunità si basa su rapporti sociali che non esistono più.
Poi arriva l’appello finale: “Tutti fanno dei sacrifici, ma credo che dopo un anno (e adesso anche di più) si cominci a snaturare la vera essenza dell’Università, incapace di dare stimoli concreti. Io, da studente, sento di aver fatto e di continuare a fare sacrifici che nessuno sta provando minimamente a fare dall’altra parte. Sempre da studente, oggi, mi sento abbandonato e neanche minimamente valorizzato come risorsa per il futuro del mio Paese“. Il pensiero di Domenico è il pensiero di tanti, e non solo i social lo testimoniano.
Nkia maffettune