«Segre è stato un personaggio strano. Rigoroso sino al puntiglio, però alla ricerca del piacere del testo. Schivo, eppure ideologicamente appassionato e impegnato politicamente. Il tipo del topo di biblioteca che non disprezza i fasti e i nefasti del mondo e della società». Scrisse così Gianfranco Marrone, docente di Semiotica del nostro Ateneo di Palermo su La Stampa Tuttolibri nel 2008 in occasione degli 80 anni di Cesare Segre, il filologo scomparso domenica a Milano all’età di 86 anni. Era il mese di marzo pure sei anni fa e anche oggi il professore Marrone, titolare della cattedra di Semiotica dell’Università degli Studi di Palermo – interpellato da Younipa Blog – non si discosta da quelle parole raccontandoci il lavoro e la lezione culturale lasciata dal teorico della semiologia, saggista, critico letterario e giornalista Cesare Segre. La sua fu un’ampia produzione testuale proprio in virtù di quella sua “bigamia”, come l’ha definita lui stesso, che lo ha portato a interessarsi di filologia romanza, sia di semiotica che di strutturalismo.
«Tutto il suo lavoro, la sua vita, sono stati dedicati al superamento di steccati, all’abbattimento degli specialismi – racconta Marrone – ,al tentativo di un dialogo, spesso duro e conflittuale ma comunque necessario, fra posizioni teoriche e pratiche intellettuali, fra elaborazioni concettuali e metodologie d’analisi, fra principi astratti e metodo induttivo. Cosa che gli ha fornito, nell’immensa varietà di interessi e competenze, una coerenza invidiabile, se pure di nicchia, e una gran quantità di allievi ed estimatori». «Segre – continua Marrone – è stato filologo romanzo, secondo la tradizione classica, ma anche e soprattutto uno tra i pochi a svecchiare in maniera impressionante la metodologia di studio della filologia. Lo ha fatto in due modi: da un alto usando la semiotica, sebbene la filologia sia una materia rigorosa e rigida che ha in sé un metodo implicito, Segre ha usato la semiotica per spiegare i testi letterari antichi, e in questo è stato un innovatore; l’altro aspetto – continua – è che nonostante abbia studiato testi di filologia romanza (da cui un’infinità di edizioni critiche, come quelle della Chanson de Roland o dell’Orlando furioso) è stato anche un critico letterario della contemporaneità; si è occupato di Beckett e altri autori contemporanei, rileggendoli criticamente e superando così le barriere tra le discipline. Un fatto nuovo se visto 50 anni addietro ma che risulta altrettanto innovativo oggi che si è tornati ad una forma del sapere fatta a compartimenti stagni, in cui ognuno coltiva il suo orticello. Di contro la sua era la concezione di una critica testuale che coniugasse l’interesse per le forme con quello per la storia, l’attenzione al dato linguistico e stilistico con quello al contesto sociale e culturale. Per questo Segre – dice Marrone – pur mantenendo ferma la forza della disciplina di origine ha saltato i confini, è stato innovatore e ha svecchiato la critica e la concezione della letteratura in Italia. Oggi il suo lavoro è un esempio da cui partire, è un insegnamento che spetta alle generazioni successive di riprendere e approfondire: avere abbattuto steccati specie in un momento in cui tornano gli specialismi e gli ontologismi, l’idea di un “testo” che non è mai un dato oggettivo ma una doppia costruzione culturale (della società prima, dello studioso poi) è senz’altro da custodire con cura, provando a usarla ancora, al di là del campo linguistico e letterario che egli ha prediletto».
Cesare Segre nel ritratto del semiologo Gianfranco Marrone
Condividi