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Ci servirebbero più personaggi come Carmine di Mare Fuori


«Carmine è un padre, è un amico». Perché Carmine Di Salvo in Mare fuori è il personaggio maschile di cui abbiamo bisogno

C’è la mascolinità egemone, fatta di violenza, dinamiche da branco, senso di superiorità, “femmene” che non si toccano ma nemmeno si rispettano e poi c’è Carmine Di Salvo. Tra i meriti del protagonista di Mare Fuori c’è quello di proporre un’alternativa, mostrare che, anche quando la società in cui sei cresciuto ti dice che devi essere in un certo modo, sei tu l’unico vero padrone delle tue azioni. Abbiamo bisogno di personaggi come lui, del suo buon cuore, del perdono come segno di forza, della sua calma determinata. Oltre che dei suoi bicipiti.

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Nella terza stagione (attenzione, ci sono SPOILER se non l’avete vista) il personaggio di Carmine, interpretato da Massimiliano Caiazzo, è esploso, tanto da conquistare definitivamente il cuore di tutti i fan della serie Rai. Non è così comune trovare un personaggio positivo fin dall’inizio che, a lungo andare, non risulti statico o edulcorato pur mantenendosi fedele. Quando Rosa Ricci lo accusa di essere troppo buono, «un prete», Carmine le risponde di aver provato odio, dolore, di aver desiderato vendicarsi e di essere quasi impazzito. È vero: nella seconda stagione è stato molto vicino a compiere un assassinio, ma ha scelto di passare oltre senza rinnegare se stesso. Perché sta qui la grande forza del ragazzo: trovare costantemente valore nell’essere una persona che sceglie il bene al posto del male.

«Carmine è un padre, è un amico», così sta scritto di fianco al suo letto nella cella. Non si tratta solo di un promemoria, sono due punti fermi che gli fanno da faro guidandolo nei momenti bui. Quando non ha in mano nulla, lui fa perno su queste due certezze e gli bastano, sono come una dichiarazione di intenti, di appartenenza. Ci si attacca con tutte le sue forze e riesce a rimanere saldo, nonostante la rabbia, nonostante il senso di ingiustizia, nonostante le dinamiche mafiose in cui è intrappolato per nascita. Da un lato c’è la paternità che, cosa fondamentale da vedere sul piccolo schermo, è forza motrice. Siamo abituati a vederlo per la maternità, ma per Carmine, essere padre è ragione di autodeterminazione. Quando Filippo sta male, gli mostra la foto dell’ecografia per fargli credere nel futuro, dice «Ho avuto la forza di ricominciare da capo per mia figlia, solo per lei» e chiede che la sua bambina possa stare con lui in carcere come è concesso alle donne.

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Poi c’è l’amicizia con Filippo. Un’amicizia che è l’opposto del senso di fratellanza opportunistica e gerarchica portato avanti da Ciro o Edoardo per rinsaldare i clan. Non è un’amicizia che ingabbia e costringe ma, al contrario, alimenta la voglia di essere davvero liberi. «Ti basta una letterina per piangere come una femminuccia», gli dice Rosa ma lui le risponde «Perché uno dovrebbe vergognarsi di piangere?» Perché non bisognerebbe piangere per un amico a cui si vuole bene? Carmine, e questo non è così scontato specie per i ragazzi maschi nella società attuale, non ha paura di vivere a pieno le sue emozioni e – cosa ancor meno banale – è capace di distinguere quelle a cui aggrapparsi e quelle da riconoscere e lasciare andare.

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