Dal sole alle lampade artificiali, i raggi Uv sono in grado di uccidere il coronavirus Sars-CoV-2. A provare “l’alto potere germicida” della luce ultravioletta sono stati scienziati italiani.
Con più ricerche: due lavori in attesa di pubblicazione su riviste internazionali, i cui risultati sono al momento visibili in due preprint dell’archivio internazionale Medrxiv, nella sezione speciale dedicata a Covid-19.
In particolare, lo studio sperimentale multidisciplinare condotto da un gruppo di ricercatori con diverse competenze dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), dell’università Statale di Milano, dell’Istituto nazionale tumori (Int) del capoluogo lombardo e dell’Irccs Fondazione Don Gnocchi, risponde a un tema molto dibattuto, e tanto caro anche a capi di Stato come il presidente Usa Donald Trump.
La luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta
Secondo gli autori, la luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta, o radiazione Uv-C, “quella tipicamente prodotta da lampade a basso costo al mercurio (usate ad esempio negli acquari per mantenere l’acqua igienizzata), ha un’ottima efficacia nel neutralizzare” il nuovo coronavirus.
La luce Uv-C ha tipicamente una lunghezza d’onda di 254 nanometri, ovvero 254 miliardesimi di metro, ed è noto il suo potere germicida su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di Dna e Rna che costituiscono questi microorganismi.
Diversi sistemi basati su luce Uv-C sono già utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici in ospedali e luoghi pubblici.
Tuttavia, spiegano gli esperti, nell’ambito della pandemia di Covid-19, una misura diretta della dose di raggi Uv necessaria per rendere innocuo il virus non era stata ancora effettuata e finora erano state considerate dosi con valori tra loro molto contraddittori, derivati da altri lavori scientifici riguardanti precedenti esperimenti su altri virus.
“Abbiamo illuminato con luce Uv soluzioni a diverse concentrazioni di virus, dopo una calibrazione molto attenta effettuata con i colleghi di Inaf e Int – illustra Mara Biasin, docente di Biologia applicata dell’università degli Studi di Milano – e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola (3.7 mJ/cm2), equivalente a quella erogata per qualche secondo da una lampada Uv-C posta a qualche centimetro dal bersaglio, per inattivare e inibire la riproduzione del virus di un fattore 1.000, indipendentemente dalla sua concentrazione”.
“Con dosi così piccole – conferma Andrea Bianco, Tecnologo Inaf – è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus.
Questo dato sarà utile a imprenditori e operatori pubblici per sviluppare sistemi e attuare protocolli ad hoc utili a contrastare lo sviluppo della pandemia”.
E il Sole?
E il sole? Il risultato di questo lavoro è servito anche al fine di validare uno studio parallelo, coordinato da Inaf e Statale di Milano, per comprendere come gli ultravioletti prodotti dal sole, al variare delle stagioni, possano incidere sulla pandemia inattivando in ambienti aperti il virus presente in aerosol, contenuto ad esempio nelle piccolissime bollicine prodotte dalle persone quando si parla o, peggio, con tosse e starnuti.
“Il nostro studio – osserva Fabrizio Nicastro, Ricercatore Inaf – sembra spiegare molto bene come la pandemia Covid-19 si sia sviluppata con più potenza nell’emisfero nord della Terra durante i primi mesi dell’anno e ora stia spostando il proprio picco nei Paesi dell’emisfero sud, dove sta già iniziando l’inverno, attenuandosi invece nell’emisfero nord”.
Per quanto riguarda il sole ad agire non sono i raggi ultravioletti corti Uv-C (anch’essi prodotti dal sole, ma assorbiti dallo strato di ozono della nostra atmosfera), bensì i raggi Uv-B e Uv-A, con lunghezza d’onda tra circa 290 e 400 nanometri, quindi maggiore degli Uv-C.
Bastano pochi minuti per rendere inefficace il virus
Come dimostrato da una recente misura in luce Uv-A e Uv-B dal Laboratorio di biodifesa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, in estate – in particolare nelle ore intorno a mezzogiorno – bastano pochi minuti perché la luce ultravioletta del sole riesca a rendere inefficace il virus.
Tali risultati sono in buon accordo anche con quelli del primo articolo firmato dal team italiano, se opportunamente rapportati alle lunghezze d’onda più lunghe degli Uv-B e Uv-A.
Lo studio di Inaf e università degli Studi di Milano è in linea con il modello del laboratorio di biodifesa delle forze armate americane, originariamente proposto nel 2005 da Lytle e Sagripanti, per spiegare l’andamento stagionale di certi virus, come ad esempio quelli influenzali.
Sebbene altri fattori possano avere influenzato l’attenuazione del contagio che si registra nel nostro Paese da alcune settimane (distanziamento sociale, mutazione del virus, e così via), per gli scienziati “potrebbe essere istruttivo verificare nei mesi autunnali se una eventuale seconda ondata di contagi possa essere collegata alla minore efficacia del sole nel neutralizzare il virus e quindi capire se il ruolo della radiazione emessa dal Sole sia stato determinante” per l’attenuazione dei contagi, o abbia avuto solo un ruolo coadiuvante, e in che misura. (adkronos)
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Il primo marzo ho comunicato alla Prefettura di Palermo l’assoluta necessità di adottare metodologie di abbattimento della carica virale del respirato diffuso nei luoghi ad alta frequentazione umana anche con l’uso di raggi UV.
Ho anche comunicato al Direttore Generale dell’università il possibile utilizzo dei raggi UV per l’abbattimento della carica virale.
La conferma della efficacia dei raggi UV-c sul coronavirus è motivo di soddisfazione personale per avere svolto con competenza il mio ruolo universitario di collaboratore tecnico, VII qualifica funzionale, area tecnico-scientifica. Status privilegio ufficializzato in un provvedimento del Presidente della Repubblica.