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Crisanti: L’Italia rischia un nuovo lockdown


I focolai erano attesi e il rischio di dover chiudere di nuovo, almeno certe zone, c’è. Andrea Crisanti dirige la microbiologia dell’Università di Padova ed è l’uomo che ha spinto il Veneto ad usare in modo massiccio i tamponi. L’Italia non ne è uscita, dice, e invita ad osservare quanto succede negli altri Paesi per comprendere quanto il virus sia pericoloso.

Professore, è sorpreso da quanto succede nel nostro Paese?

«No, è ciò che avevamo previsto. Ci aspettavamo di avere a che fare, passata l’ondata principale della pandemia, con questi focolai. Del resto il virus non se ne è andato. Oggi (ieri, ndr ) ci sono stati quasi 300 casi. Qualcuno la malattia la trasmette».

Anche gli asintomatici?

«Sicuramente sì, anche loro. Sennò non avremmo ancora tutti questi casi. Poi se ci sono persone che si ammalano e hanno i sintomi, trasmettono ancora di più. Non capisco proprio come certi colleghi abbiano potuto fare affermazioni fuorvianti e non coerenti con le stesse direttive del ministero alla Sanità sul tema degli asintomatici. Si sono presi una grave responsabilità».

Nel mondo cosa sta accadendo?

«La malattia circola, in un giorno ci sono stati 180 mila casi. Chi non ha fatto il lockdown ha problemi. Basta vedere la Svezia. Oppure il Brasile, dove sta succedendo un disastro non paragonabile alla situazione italiana. Lì il problema è che troppe persone non hanno il medico. Paradossalmente è una situazione simile agli Usa, dove 50 milioni di cittadini non vanno dal dottore».

Anche dove il lockdown è stato fatto, come da noi, le cose non sono andate benissimo.

«Il problema con questa malattia è che si diffonde molto rapidamente. La chiusura deve essere tempestiva. La Germania, che ha avuto i problemi nei mattatoi, nel giro di tre giorni ha bloccato due distretti».

L’Italia non è stata rapidissima a chiudere.

«Forse potevamo farlo prima, ma abbiamo agito bene sul lockdown. Per questo ora siamo in una situazione migliore di molti Paesi».

Da noi si rischia di dover prendere decisioni come quelle dei tedeschi?

«Nessuno può dirlo ma ovviamente è nelle probabilità che succedano cose di questo genere».

Adesso sono fondamentali le Asl, che devono trovare i casi e isolarli. Come stanno lavorando?

«Non stanno andando male. Ad esempio a Roma si è lavorato bene sul focolaio al San Raffaele. Vediamo cosa succede a Bologna, mentre Mondragone mi preoccupa di più. A parte queste situazioni, la gran parte dei casi sono intercettati presto e si fanno i tamponi. È confortante».

Nel Paese sembra essere diminuita la paura del virus.

«Si vede un po’ di rilassamento. Per forza, gli italiani hanno avuto messaggi contraddittori dai politici, che non hanno dato il buon esempio. Prima si dice che siamo in pericolo, poi che bisogna sbrigarsi a riaprire tutto perché l’economia è la cosa più importante. Qui in Veneto un giorno si chiede di far ripartire le discoteche e quello dopo si invita a stare attenti. La gente ha bisogno di verità».

E qual è?

 «Che il virus circola ancora ed esiste un certo livello di rischio, come i casi di questi giorni stanno a dimostrare».

Cosa si aspetta ad ottobre?

«Chiaramente il rischio aumenterà. Le persone staranno più al chiuso, le temperature saranno più basse, e l’umidità più alta. Poi c’è l’effetto confondente con altre malattie da raffreddamento. Per questo bisogna incoraggiare tutti a fare la vaccinazione anti influenzale. Pure su questo ci vuole verità. Sarebbe interessante capire quante dosi ha acquistato l’Italia. Siamo all’assurdo di prenotare 40 milioni di dosi di un vaccino che non esiste, quello per il coronavirus, e di non conoscere i numeri di quello per l’influenza».

Rischiamo casi non rilevati come all’inizio dell’epidemia?

«Secondo i nostri studi su Vo’, il 21 febbraio circa il 5% della popolazione aveva il virus o lo aveva già avuto. I dati non saranno gli stessi in futuro ma il rischio di casi sotto traccia c’è sempre. Per questo a ottobre potremmo trovarci di fronte a focolai da zona rossa».Condividi questo articolo

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