Sono passati 29 anni da quel giorno maledetto che ha segnato la storia della nostra nazione in maniera indebile. Da allora ad oggi ogni anno questo giorno diventa un appuntamento irrinunciabile per ricordare Falcone, il suo scrificio e quello degli uomini che insieme a lui persero la vita.
Erano le 17.58 quel 23 maggio quando, più di quattrocento chili di tritolo, fecero saltare in aria la Fiat Croma su cui viaggiava il magistrato Giovanni Falcone, nel tratto dell’autostrada A29 da Punta Raisi a Palermo. Insieme a Falcone nell’attentato persero la vita sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro. Furono feriti gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista Giuseppe Costanza.
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Chiamiamoli eroi, ma non siamo ipocriti
Oggi questi uomini li chiamiamo eroi, e facciamo bene perchè lo sono. Perchè hanno sacrificato la loro vita servendo lo stato. Ma quanta ipocrisia abbiamo accumulato negli anni celebrando questi avvenimenti? Non ho mai amato la retorica, soprattutto quando è legata alla commemorazione di un episodio tragico, come la morte di tanti servitori dello stato. Non fraintendemi, commemorare è giusto e necessario. Ma bisogna avere l’onestà intellettuale di farlo in maniera sincera.
Falcone era prima di tutto un uomo libero
Dopo la strage di capaci tutti inneggiarono a Falcone come un eroe. Ma non dimentichiamoci che Falcone negli ultimi anni della sua vita era stato isolato, osteggiato ed intralciato dai suoi stessi colleghi. Da un sistema che lo aveva messo all’angolo e lo aveva reso un bersaglio isolandolo.
In una delle ultime interviste rilasciate dal magistrato, alla domanda sul perchè i suoi colleghi ce l’avessero tanto con lui, Falcone aveva risposto: “Perché sono un uomo libero, perché non ho padroni.” Questa frase racchiude molto bene, a mio avviso, il significato profondo della sua azione. Gli uomini liberi sono scomodi, da sempre. Perchè non sono “controllabili”, perchè agiscono rispondendo soltanto alle proprie coscienze e alle proprie idee.
Ma è grazie agli uomini liberi che la storia ha progredito. Grazie agli uomini liberi abbiamo raggiunto grandi risultati e fatto grandi conquiste.
E’ bello vedere tanti giovani e giovanissimi coinvolti ogni anno nel ricordo della strage di Capaci. E’ emozionante vederli cantare insieme e portare in corteo grandi striscioni con le foto di Falcone e le sue frasi più belle. Ma a questi giovani cosa stiamo isegnando davvero? Quale valore tramandando? Esiste la mafia e questo la sappiamo bene. Ma in contrapposizione alla mafia non c’è solo l’antimafia. Perchè l’antimafia non è un’etichetta. Non è una corrente, un movimento a cui si appartiene. La criminalità trova terreno fertile nell’ignoranza, nell’assenza delle istituzioni, nella paura e nell’incertezza, nella mancanza di punti di riferimento.
Quando vogliamo etichettare le persone dentro certe categorie, è in quel momento che creiamo le disuguaglianze e isoliamo gli altri.
Riempiamo di significato la commemorazioni
Questa considerazione non vuole essere una voce fuori dal coro, ma uno spunto di riflessione. Ben vengano le commemorazioni, le cerimonie celebrative, le corone di fiori, le marce. Ma non rendiamole delle passerelle.
Proviamo a riempirle di significato. Aiutiamo i nostri ragazzi a formarsi delle coscienze, un pensiero autonomo. Parliamogli di Giovanni Falcone sì, ma non solo come di personaggio da cui trarre aforirmi. Raccontiamogli della sua vita e della sua storia di magistrato. Del perchè ad un certo punto è stato isolato dal sistema. Di cosa ha fatto per cercare di scardinare il sistema mafioso e dare una svolta, un nuovo corso della giustizia.
Lo slogan non basta
Ogni anno le delegazioni delle scuole di tutta la Sicilia hanno atteso l’attracco della Nave della Legalità con a bordo circa 1.500 studentesse e studenti da tutta Italia. Un momento di incontro per unire le voci e gridare insieme “No a tutte le mafie”. #PalermoChiamaItalia è l’iniziativa organizzata dal ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Falcone in occasione dell’anniversario delle stragi di Capaci e di via d’Amelio. #DicosaSiamoCapaci – storie di ordinario coraggio, è lo slogan che ha accompagnato la fase preparatoria, con l’obiettivo di far emergere e risaltare esempi positivi di impegno e altruismo. Ben venga anche questo. Ma lo slogan non basta. E’ l’impegno quotidiano che fa la differenza. E’ il coraggio di voler cambiare le cose che non vanno bene. Di rimboccarsi le maniche e agire, piuttosto che lamentarsi. E allora io dico, dobbiamo insegnare soprattutto questo ai nostri ragazzi. La giornata della memoria è doverosa, ma rischia di rimanere sterile se non è accompagnata da impegno più profondo e radicale.
Questa mattina al porto di Palermo il ministro dell’Istruzione Bianchi, presente all’inizio delle celebrazioni per la scomparsa del giudice Giovanni Falcone ha affermato: “Legalità vuol dire rispetto, amore per gli altri e per il nostro paese: questo è il significato della giornata di oggi. Si riparte dai ragazzi, dai bambini e dalla bambine. Bisogna riportare la scuola al centro del paese. Non più speranze, ma fatti concreti”.
E allora speriamo che le dichiarazioni vengano seguite da fatti. Speriamo che ai nostri ragazzi si possa davvero insegnare il rispetto e l’amore per gli altri. Il coraggio di diventare uomini liberi, dal pensiero libero e dalla capacità di giudizio indipendente. L’eredità più bella che ci ha lasciato Falcone credo sia proprio questa.
Buona giornata della memoria. Buona vita nella memoria, perchè ogni giorno possiamo fare la differenza.
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