Giulia: “110 e lode con futuro lavoro da commessa (speriamo)?
Giulia Biagini, 27 anni, 110 e lode in aprile in Comunicazione digitale alla Sapienza di Roma, è il simbolo del dramma di migliaia neolaureati in messo alla crisi da coronavirus: “Ho mandato oltre mille curriculum, nessuna risposta: prima del Covid era impensabile”.
Sono andata a lavorare per un’agenzia immobiliare a 500 euro al mese, altri compagni di università fanno i camerieri o le commesse.
Siamo come fantasmi, senza un presente e senza un futuro: possibile che il governo non si occupi anche di noi giovani?”. Prima puntata di un viaggio nell’Italia del mezzo milione di stage ogni anno, appena dimezzati dall’emergenza coronavirus
“Sono arrivata a mandare anche 50 curriculum al giorno, ne avrò spediti più di mille: non ho mai ricevuto risposta”. Giulia Biagini, 27 anni, lucchese, si era trasferita per studiare prima a Bologna per la triennale e poi a Roma per la magistrale.
Alla Sapienza si è laureata in aprile con 110 e lode in Media e comunicazione digitale e non pensava certo che sarebbe andata così, soprattutto in un settore molto ricercato come il suo, quello della comunicazione social e digitale per le aziende che aveva visto i laureati, soprattutto con il massimo dei voti come lei, subito in stage e presto assunti in azienda. Poi è arrivato il coronavirus.
Generazione Covid. LA storia di Giulia
Giulia è uno dei simboli della Generazione Covid. Di tutti quei neolaureati che la pandemia ha tagliato fuori dall’inserimento nel mondo del lavoro, tra stage cancellati e aziende in crisi che non ce la fanno proprio ad assumere, figuriamoci a formare.
Iniziamo parlando con lei un viaggio, che speriamo si arricchirà di nuove testimonianze, tra questi ragazzi che si sono laureati nell’anno sbagliato e di cui in troppo pochi parlano. Il viaggio passerà questa volta, dopo Giulia, anche dal quadro sulla “fine degli stage” che ci fa chi racconta quotidianamente il mondo dei 500milia stage attivati ogni anno in Italia, ora dimezzati.
“Un mio amico a Bologna si è buttato subito nel mondo del lavoro nel 2017: dal precariato iniziale è già arrivato a un posto di alto livello, a tempo indeterminato.
Mi ha fregato voler approfondire con la magistrale, mi ha fregato soprattutto la pandemia”, racconta Giulia. “All’inizio mandavo curriculum per stage e per lavoro cercando su Roma o sulla Toscana e selezionando le aziende che mi interessavano di più. Poi ho iniziato a mandarli ovunque, mi sono iscritta a qualsiasi tipo di sito per cercare lavoro e stage. Avrò mandato almeno mille domande, non ho ottenuto nulla”.
Nel frattempo? “C’era casa da pagare a Roma e ho preso pure il coronavirus. Ho passato un mese terribile malata, con febbre alta, tosse e bassa saturazione, isolata in camera, con il mio medico di famiglia che da fuori sede ovviamente non mi poteva aiutare.
In estate per mantenermi ho lavorato in un’agenzia immobiliare per 500 euro al mese, poi con la ripresa dell’epidemia il lavoro è finito. È un destino comune: sono in contatto con una ventina di amici che si sono laureati nel mio stesso periodo e con voti alti: stanno lavorando come camerieri, baby sitter, commessi…
Ora sono tornata a Lucca, vediamo con gli spostamenti se riesco almeno a finire il trasloco”.
“Capisco perfettamente il dramma del coronavirus, l’ho pure preso, e soprattutto quello dei tantissimi morti ma esistiamo anche noi giovani senza futuro in mezzo alla crisi”, conclude Giulia con voce gentile, tra rabbia e rassegnazione.
“Siamo come fantasmi. Ci troviamo come in fondo a un fossato, senza un presente e senza un futuro, mentre il mondo del lavoro sembra morto. Non c’è nemmeno la possibilità di fare uno stage. Le aziende non hanno soldi per assumere, figuriamoci per formare.
Mica posso continuare a passare le giornate a pensare a nuovi modi per mandare curriculum o, abbandonando la mia amata meritocrazia, a farmi tentare dall’idea di cercare qualche conoscenza. La tentazione di arrendersi è forte. Farò la commessa, speriamo, con 110 e lode alla Sapienza? Niente di male, per carità, e non è semplice nemmeno trovare quel lavoro, ma avevo investito la mia vita per un percorso diverso.
Tutti i miei amici laureati stanno facendo scelte del genere. Non c’è nessuna risposta per noi, per quello che abbiamo studiato. Neanche dalla politica, dal governo: possibile che non arrivino interventi veri e seri dal governo anche per i giovani?”.
LA FINE DEGLI STAGE
Il coronavirus, come dice Giulia, ha davvero quasi ucciso anche gli stage, un bacino fondamentale con cui fare (dura) esperienza, poco rimborsati, e far conoscere sul campo cosa si sa fare, le proprie competenze e caratteristiche in un percorso che può portare al lavoro.
“Tirocini e stage sono stati dimezzati nei primi sei mesi dell’anno: sospesi, interrotti e solo in pochi casi ripresi in smart working. Con un problema aggiuntivo: alcune regioni permettevano questo passaggio, altre no, altre hanno cambiato idea in corso d’opera, tutto in ordine sparso” ci spiega Eleonora Voltolina, direttrice di Repubblica degli stagisti, nato nel 2009 proprio per dare voce a questo mondo. “Poi, se per esempio un negozio doveva chiudere per il lockdown, e sono decine di migliaia gli stage ogni anno in questo settore, anche questo passaggio era ovviamente impossibile.
Stiamo parlando di una realtà che conta mezzo milione di stagisti ogni anno. Qualche regione ha previsto un risarcimento, la decisione non è mai stata presa a livello nazionale. Le cose sono un po’ migliorate non solo in estate ma anche con la seconda ondata, ma la situazione resta molto molto difficile. E ignorata dal governo”.
Anche Michele Morreale si occupa di questo settore con il blog Lo stagista parlante dal 2017. Laureato in Marketing alla Bocconi di Miliano al tempo era al quinto stage, ora ha trovato lavoro, ma non si è dimenticato di quel mondo che continua a raccontare: “Con i confini semi bloccati e l’epidemia ovunque, un neolaureato non può nemmeno dire: provo all’estero oppure mi prendo un anno sabbatico per acquisire nuove esperienze e competenze… Tantissimi stage sono stati congelati, le indennità non arrivavano più, c’era da pagare l’affitto, magari in una grande città.
Gli stagisti si sono trovati soli, senza aver nulla da fare, e la beffa di non avere nemmeno il diritto ai 600 euro di ristoro. In tantissimi, appena è stato possibile, sono tornati dai genitori. Deve pensarci sempre solo la famiglia come unico ammortizzatore sociale?”.
Fonte: Le Iene
Questa e la prima tappa, noi vogliamo continuare a dar voce a questo esercito di mezzo milione di stagisti. Se volete raccontarci la vostra testimonianza scriveteci su [email protected]
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