Come difendersi nella pericolosa giungla digitale? In questi ultimi giorni, a Palermo, si è consumata una tragedia. Una bambina, la piccola Antonella di soli dieci anni, è morta per strangolamento. Di per sé questa verità è tragica ma le modalità e i motivi appesantiscono ulteriormente l’accaduto. Infatti, la preadolescente sarebbe morta a causa di una “sfida”, la black out challenge, lanciata su Tik Tok.
Le insidie delle web challenge
Non è la prima volta che si sente parlare di queste sfide, di queste pericolose trappole della giungla digitale. Fino a qualche mese fa si leggeva di tale Jonathan Galindo, una figura terrificante e grottesca, truccata come un cartone animato della Disney, che avrebbe spinto vari ragazzi all’autolesionismo tramite “sfide di coraggio”. Questo nome è venuto fuori quando un altro giovanissimo si sarebbe suicidato, lanciandosi dal balcone a causa di una “challenge”. Si dice che le ultime parole, lasciate dall’undicenne di Napoli, fossero rivolte ai genitori: «Mamma, papà vi amo. Devo seguire l’uomo col cappuccio nero, non ho più tempo. Perdonatemi.»
Su queste notizie svolazza sempre un epiteto: “Bufale”, con la b maiuscola. Eppure, continuano a fioccare. Qualche tempo fa si parlava di Blue Whale, e ancora prima si raccontava di come certi ragazzi, sempre a causa di sfide lanciate sui social, fossero finiti in ospedale per aver ingerito delle pastiglie di detersivo per piatti (la Tide Pod Challenge).
Che le notizie siano “gonfiate” o meno, questi avvenimenti fanno riflettere molto sia i genitori che gli educatori.
Cosa si può fare per evitare che certe disgrazie avvengano?
Mi hanno fatto notare come, tempo fa, venissero demonizzati altri media, come il televisore o i videogiochi. Quando ero piccola, girava la storia di un bambino che, a causa dei cartoni animati di Batman o di Superman, si era lanciato dal balcone pensando di poter volare. Anche quella, a quanto pare, si è rivelata una leggenda metropolitana e di certo non possiamo vietare, o vietarci, qualsiasi esposizione al mondo per paura dei pericoli.
Fino a qualche anno fa, e non lo dico per fare la Boomer, un telefono cellulare era esclusivamente un modo per poter comunicare. Adesso, in ogni smartphone, c’è un mondo intero.
Ho avuto il primo cellulare a tredici anni, quindi relativamente presto, sia perché lo avevano molti miei coetanei sia perché i miei familiari, volendomi lasciare un po’ più di libertà, hanno preferito avere un modo per potermi rintracciare. È giusto che un genitore voglia sapere se la propria figlia, o il proprio figlio, stiano bene così come è sacrosanto per un preadolescente, o un adolescente, volere sempre più libertà.
Oltre alla “responsabilità” genitoriale (che già di per sé è difficile), o quella scolastica (che se ben gestita prevede dei programmi alla Media education), esistono modi per evitare l’accesso precoce a certi social e ai pericoli della giungla digitale?
Forse un modo c’è per evitare le insidie…
Progettati, paradossalmente, per gli “anziani” esistono dei nuovi smartphone che hanno delle funzioni simili a quelli di ultima generazione ma che, sia per look che per limiti, ricordano molto quelli con cui sono cresciuta (e come me probabilmente molti di voi).
A realizzarli è proprio Nokia, tanto per restare sul viale della nostalgia, che ripropone i suoi vecchi modelli, ma con un look svecchiato e la possibilità di accedere a Facebook, a Whatsapp e a internet, ma con una memoria limitata, una fotocamera meno potente e il grande limite di non potervi installare app come Tik Tok (che non voglio assolutamente demonizzare). È giusto che preadolescenti e adolescenti, in questa società liquida, vogliano comunicare con i loro coetanei, lo volevamo anche “noi” alla loro età, ma l’accesso a un mondo così ampio, difficile e, diciamocelo, pericoloso va sicuramente dosato.
Esistono dei cellulari adatti ai più piccoli
Se proprio volete che i vostri figli, dai 5 ai 7 anni, abbiano un cellulare, esistono modelli senza accesso a internet ma utili per chiamate d’emergenza e l’invio di SMS, ad esempio il Lexibook GSM20FZ Disney, che potrebbe piacere molto alle piccolissime perché ha un design ispirato al film Frozen. Con questo cellulare a prova di bimbi, si potranno inviare messaggi, chiamare, ascoltare la radio, giocare, ascoltare la musica, e tante altre “piccole” funzioni.
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Dai sei anni, si può optare per un modello un po’ più “sofisticato”, il Clementoni Clemphone Fit, compatibile con lo standard 4G, sistema operativo Android 7, e la possibilità di accedere a delle app e contenuti educativi della Clementoni stessa. Il telefono da anche la possibilità di impostare delle restrizioni, anche se, dobbiamo ammetterlo, i giovanissimi sono molto bravi con la tecnologia e probabilmente saprebbero aggirare certi blocchi.
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Dagli otto agli undici anni, si potrebbe optare per un Lisciani Mio Phone Youtuber Special Edition, anche questo predisposto allo standard 4G LTE, con navigazione sicura e la possibilità di impostare il parental control, oltre a quella di collegare il telefono con il proprio (dei genitori) account Gmail per poter monitorare le attività del figlio o della figlia.
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“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto”, queste parole, rivolte a un media che ormai pare “obsoleto”, sono di Karl Popper e sono state pubblicate nel 1994 in un illuminante saggio chiamato “Cattiva maestra televisione”.
La leggittima libertà di desiderare un cellulare
Non possiamo sperare che i cellulari “scompaiano” dalla faccia della terra, né costringere i ragazzi a non desiderarli. Perché, ammettiamolo, come noi abbiamo voluto il nostro Nokia o Alcatel (almeno chi è della mia generazione), così anche loro vogliono poter avere accesso a una comunicazione libera con i loro pari.
Ma la libertà, quella vera, va guadagnata col tempo e con l’esperienza, e solo “noi” adulti possiamo provare a dare ai giovanissimi i mezzi per comprendere meglio questo mondo. Anche se a volte può sembrare il contrario.
Restare al passo con i tempi, conoscere (proprio come diceva Popper), questo media e non disinteressarsi sembrano essere gli unici metodi per poter provare (e sottolineo provare) ad evitare certe tragedie. Per le giungla digitale riserva davvero moltissime insidie.
Purtroppo, non sempre è possibile e di certo non è colpa dei genitori o dei cellulari. La colpa, se va cercata, si può probabilmente trovare in un mondo sempre più dispersivo, che rende i giovani costantemente “connessi” ma sempre soli.