Si chiama mRNA-1273. E crea anticorpi che neutralizzano il covid. I test sono ok e sarà approvato in autunno. Poi partirà la produzione di massa.
Il punto sul Vaccino. Il settimanale L’Espresso pubblica in esclusiva i risultati della ricerca della dell’azienda biothec americana Moderna e l’Intervista esclusiva ad Andrea Carfi, lo scienziato italiano a capo del team sulle malattie infettive di Moderna
Qui tutta l’intervista
Due mesi che valgono due anni, o forse di più. Sono passati sessanta giorni dall’avvio della sperimentazione clinica del vaccino contro il virus SARS-CoV-2 dell’azienda biothec americana Moderna e i primi risultati, resi pubblici il 18 maggio, sono stati definiti da tutti gli esperti molto promettenti.
Innanzitutto il vaccino si è dimostrato sicuro, non comporta effetti collaterali ed è ben tollerato. Ma soprattutto i dati mostrano che le persone vaccinate hanno sviluppato livelli di anticorpi uguali o superiori a quelli misurati in soggetti infettati dal virus e successivamente guariti. Notizie tanto incoraggianti da fare sbilanciare anche Anthony Fauci, direttore del Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) e capo della task force della Casa Bianca per l’emergenza coronavirus.
Fauci si è detto «cautamente ottimista» rispetto all’efficacia del vaccino di Moderna «proprio perché» ha dichiarato alla Cnn, «i primi risultati hanno dimostrato la capacità di neutralizzare il virus con la somministrazione di dosi ragionevoli di vaccino, ed è lecito prevedere che se gli stessi livelli di anticorpi saranno confermati su un numero più ampio di persone, il vaccino potrà proteggere dall’infezione». Alla frenetica corsa verso il vaccino per sconfiggere la piaga del 2020, partecipa anche Andrea Carfí, scienziato italiano, da dieci anni negli Usa e da due a capo del team sulle malattie infettive di Moderna. Intervistato dal sito dell’Espresso lo scorso marzo, era apparso ottimista fin dai primi giorni della prima fase di sperimentazione sull’uomo e, a quanto pare, i fatti oggi gli danno ragione. «La cautela era e continua ad essere d’obbligo ma si, confermo che l’ottimismo era ben risposto», dice oggi Carfi all’Espresso. «Infatti, su tutti i 45 volontari sottoposti alla prima fase di sperimentazione, il vaccino è risultato sicuro, confermando i dati ottenuti in studi clinci di altri nostri vaccini. Abbiamo anche osservato la produzione di anticorpi in tutti i soggetti vaccinati e in otto di loro abbiamo dimostrato la presenza di anticorpi neutralizzanti, cioè in grado non solo di riconoscere il virus ma anche di bloccarlo evitando cosí l’infezione.
Alla frenetica corsa verso il vaccino per sconfiggere la piaga del 2020, partecipa anche Andrea Carfí, scienziato italiano, da dieci anni negli Usa e da due a capo del team sulle malattie infettive di Moderna. Intervistato dal sito dell’Espresso lo scorso marzo, era apparso ottimista fin dai primi giorni della prima fase di sperimentazione sull’uomo e, a quanto pare, i fatti oggi gli danno ragione.
«La cautela era e continua ad essere d’obbligo ma si, confermo che l’ottimismo era ben risposto», dice oggi Carfi all’Espresso. «Infatti, su tutti i 45 volontari sottoposti alla prima fase di sperimentazione, il vaccino è risultato sicuro, confermando i dati ottenuti in studi clinci di altri nostri vaccini. Abbiamo anche osservato la produzione di anticorpi in tutti i soggetti vaccinati e in otto di loro abbiamo dimostrato la presenza di anticorpi neutralizzanti, cioè in grado non solo di riconoscere il virus ma anche di bloccarlo evitando cosí l’infezione. Dopo la somministrazione del vaccino, i titoli di questi anticorpi appaiono paragonabili a quelli di persone infettate e poi guarite da infezione da SARS-CoV-2. Tra qualche settimana avremo i risultati definitivi di tutti i 45 volontari a cui è stato somministrato il vaccino mRNA. Nel frattempo continuiamo i test su modelli animali. Sappiamo già che i topi vaccinati con mRNA-1273 (il nome del vaccino di Moderna, ndr) hanno anticorpi che neutralizzano il virus e, più importante, sono protetti quando esposti al virus.
C’è stato un momento preciso in cui avete capito che la strada era quella giusta?
«La Fase 1 è condotta dall’NIH (National Institute of Health) e i dati sono stati presentati in una di queste ormai normali riunioni online con decine di colalboratori, di sera tardi. Per la prima volta potevamo analizzare i dati da vicino, c’era una certa tensione, tanti dettagli, tante domande. Ma era chiaro che i dati fossero positivi. Ricordo di aver detto ad un certo punto che i risultati erano eccezionali e improvvisamente ci siamo trovati tutti d’accordo ed è scoppiato un grande applauso liberatorio. Alle aspettative si sommano le emozioni. È stato un bel momento».
Risultati che incoraggiano a marciare speditamente alle fasi successive. Qual è il percorso?
«A breve avremo dati sul vaccino somministrato a persone di età più avanzata, poi inizierà la Fase 2 che coinvolgerà 600 volontari e avremo più informazioni sulla tollerabilità, la sicurezza, la capacità del vaccino di indurre risposte immunitarie. Serviranno a confermare la dose di vaccino da somministrare in studi clinici successivi. Le persone vaccinate in Fase 1 saranno anch’esse costantemente monitorate e i titoli degli anticorpi misurati nel tempo. In alcuni studi precedenti si è riscontrato che, in soggetti infettati con altri coronavirus e poi guariti, i titoli anticorpali diminuiscono rapidamente. Con il vaccino si spera che le risposte anticorpali siano più durature e permettano una protezione più estesa nel tempo».
Ed entro luglio partirà la Fase 3 per testare l’efficacia del vaccino su grandi numeri…
«Nei prossimi due mesi dovremmo avviare la fase decisiva che includerà migliaia di persone, negli Usa e forse anche in Europa, il confronto tra chi riceverà il vaccino e chi invece un placebo e quindi la valutazione dell’efficacia. A questo punto, se tutto procede come speriamo e quando il vaccino sarà autorizzato dalle autorità sanitarie, potrà essere utilizzato su larga scala. Esiste l’eventualità che il vaccino possa essere somministrato anche prima della conclusione della sperimentazione, ma è una decisione che spetta alla Fda (Food and Drug Administration), sulla base dell’andamento dei contagi e dei numeri dei decessi».
Significa che si dovrà fare un’analisi tra costi, in termini di vite umane, e benefici non certi?
«Significa che una volta confermato il primo imprescindibile dato, ovvero che il vaccino è sicuro per l’uomo e che ha il poteneziale di porteggere, si potrebbe teoricamente valutare di somministrarlo a gruppi ad alto rischio di contagio, come medici e il personale sanitario, anche non conoscendo la sua efficacia al cento per cento. Perché comunque il beneficio, anche se non accertato definitivamente, rappresenta comunque una prospettiva migliore del rischio di contrarre il virus e la malattia senza alcuna protezione vaccinale o cura efficace. Ma sono valutazioni che, ripeto, spettano alle autorità sanitarie».
In questi ultimi mesi è accaduto di tutto. Il mondo si è fermato, è arrivata l’onda lunga non ancora conclusa dei decessi, il picco dei contagi e poi i graduali effetti del lockdown. Ora un timido ritorno alla vita, con tante incertezze che rimangono. A Moderna come si vive in questi mesi?
«Viviamo un momento di crescita rapida, molti investimenti, molte assunzioni soprattutto nel settore clinico e in quello della produzione. Sappiamo che il contributo di ognuno è fondamentale e sentiamo di fare parte di una squadra che sta giocando una partita decisiva. Ad aprile Moderna ha ottenuto dall’agenzia governativa Barda (Biomedical Advanced Research and Development Authority) un finanziamento di 483 milioni di dollari per accelerare lo sviluppo del vaccino. E abbiamo stretto collaborazioni significative con le più importanti istituzioni governative in campo sanitario. Una rete di alleanze fondamentali per fronteggiare un’emergenza come quella tuttora in corso».
Allo stesso tempo state pianificando l’avvio della produzione del vaccino su larga scala. A che punto siete?
«Moderna ha annunciato poche settimane fa l’accordo con il produttore di farmaci svizzero Lonza per una collaborazione che durerà dieci anni. Sono già previsti due siti industriali, uno negli Stati Uniti e l’altro in Svizzera. Il nostro stabilimento produttivo, che ha prodotto vaccini per altri studi clinici verrà potenziato. Si dovrà valutare se aprirne anche altri in diverse zone del pianeta per arrivare alla fabbricazione di 1 miliardo di dosi di vaccino l’anno».
L’amministratore delegato di Lonza, Albert Baehny, conferma che il primo lotto commerciale, prodotto negli Usa, potrebbe essere disponibile entro dicembre e, a febbraio 2021, seguiranno quelli dello stabilimento di Visp in Svizzera. Eppure il vaccino, per quanto la produzione sarà ampia, non sarà comunque accessibile a tutti.
«Sono considerazioni che vanno oltre il nostro ruolo. L’obiettivo è di vaccinare più persone possibile. Ci saranno ovviamente valutazioni su gruppi più a rischio, sulle zone dove si riscontrano focolai, ma non dimentichiamo che le vaccinazioni sono davvero efficaci solo se si raggiunge un’ampia copertura vaccinale per arrivare alla cosiddetta immunità di gregge. In questo caso parliamo anche del 60-80 per cento della popolazione».
In campo ci sono investimenti massicci, molti finanziamenti pubblici. Sono decine i gruppi di ricerca e le aziende che puntano al vaccino. Può darsi che i vaccini saranno più di uno e si potrà arrivare cosi più rapidamente ad un’ampia copertura vaccinale nel mondo?
«È verosimile immaginare che sarà approvato più di un vaccino nei prossimi mesi. Il gruppo dell’università di Oxford ha da poco annunciato l’inizio di test su più di diecimila persone nel Regno Unito sperando di avere dati entro settembre. C’è anche un vaccino dell’azienda cinese CanSino, i cui dati clinici sono stati pubblicati da poco su Lancet, che appare sicuro e ben tollerato. È evidente, date le circostanze, il fermento nel settore. Poi, quale sarà il vaccino che avrà il livello di protezione più alto lo si vedrà nel tempo. Ma allo stato attuale diversi vaccini saranno utili e necessari per fronteggiare la pandemia globale».
Tutti uniti nella ricerca del vaccino?
«Diciamo che c’è un intenso scambio di informazioni in forum internazionali, ci sono alleanze che si sono create e molte collaborazioni tra industrie e istituzioni accademiche. Ma non facciamo tutti le stesse cose. In un certo senso è meglio avere approcci diversi perché ci saranno maggiori possibilità di successo. Rimane ovviamente per ciascuno l’obiettivo di arrivare il prima possibile ad ottenere l’approvazione e l’utilizzo del vaccino».
Moderna in questa corsa ha ricevuto anche commenti negativi: la tecnologia è nuova, non ancora provata concretamente…
«Vero. Le critiche o le perplessità di alcuni nascono dal fatto che non esistono ancora in commercio vaccini basati sulla tecnologia mRNA. Di qui la prudenza, a volte la contrarietà degli scettici. Io invece sono convinto del contrario. Stiamo collaudando una vera rivoluzione tecnologica, come ho sostenuto davanti al comitato scientifico di Moderna, dove siedono un premio Nobel, professori di Harvard, del Mit di Boston e di altre grandi università americane. Se, ma preferisco dire quando, il vaccino mRNA sarà approvato, sarà un momento di svolta. Chiaramente il vaccino per il Covid-19 rappresenta oggi una speranza per il mondo intero e la priorità assoluta, ma da questa tecnologia usciranno nei prossimi anni molti altri vaccini, alcuni dei quali già in avanzati studi clinici, come quello importantissimo contro il citomegalovirus (CMV) che comporta malformazioni nel feto, sordità infantile, microcefalie, un virus che colpisce migliaia di bambini ogni anno solo negli Usa e per il quale non esistono né vaccino né soluzioni terapeutiche. Stiamo vivendo un momento importante, storico per l’innovazione tecnologica in medicina». (Fonte L’Espresso)