Leggo la classifica ARWU 2014 (Academic Ranking of World Universities), una classifica mondiale sulle migliori università esistenti nel nostro pianeta.
Per carità queste classifiche potrebbero anche lasciare il tempo che trovano, ma sapete com’è, non fa piacere leggere che la prima università italiana posizionata in numero utile è all’incirca al 171° posto e che i primi posti, invece, sono occupati prepotentemente da università americane e inglesi.
Lasciamo stare l’Università di Palermo… ho avuto non poche difficoltà a trovarla nella classifica, sono dovuto scendere sotto la posizione 400, però che soddisfazione leggere che nella classifica precediamo di qualche posizione la University of Tennessee Health Science Center, volete mettere, Palermo che precede una “qualsiasi” Università americana…wow, c’è da essere fieri.
Inutile dire che c’è ben poco da stare allegri guardando questa classifica; io personalmente l’università l’ho terminata ben sedici anni fa, ma mi rendo conto, da quel che vedo, che ben poco è cambiato. C’è poco da fare, i nostri atenei devono farne di strada per mettersi al passo con le grosse università più blasonate, il cammino è lungo e allo stesso tempo non semplice. Si parla di continue riforme, di continue “rivoluzioni” nel mondo accademico, ma alla fine si cambia tutto affinché tutto resti com’è.
Io credo che una delle più grosse differenze tra le nostre università e quelle inglesi o americane sia da legare fondamentalmente ad un paio di fattori, entrambe noti a tutti noi; il primo è sicuramente il fattore “investimenti”, praticamente inesistenti, che il nostro Paese fa su cultura e ricerca; non investire significa avere ben poche possibilità di crescita e credo che ciò sia indiscutibile.
Dall’altro lato, ritengo che un nostro grosso limite sia la tanto pubblicizzata “meritocrazia” che qui da noi credo sia “quasi” del tutto assente. Qualche anno fa, veniva pubblicato un libro dal titolo Un Paese di Baroni, in cui si conduceva un’indagine su atenei e baronaggi vari, che lasciava senza parole; certo nel libro si faceva riferimento anche a chi lavorava seriamente ma ciò che lasciava a bocca aperta erano gli altri riferimenti, quelli dedicati ad un «sistema fortissimo basato molto sull’obbedienza e poco sul merito».
Tempo fa, anche un ex ministro dell’Università si pronunciava pesantemente su certe “preferenze rettorali”; non dimentichiamoci poi di testate giornalistiche come l’Espresso che più volte hanno pubblicato servizi “scottanti” sul mondo non tanto sommerso delle baronie universitarie e sulla “mafia dei baroni” e di tante altre pubblicazioni che hanno cercato di smascherare questo infame costume. Più che di “meritocrazia” sembra che qui si possa parlare di “baronocrazia”. Non è bello da dire, ma leggere nei citofoni dei dipartimenti di tanti istituti sempre gli stessi cognomi (anche ad “incrocio”), la dice lunga sui sistemi di baronie presenti nel sistema universitario.
Per carità, magari si tratterà di “semplici” omonimie e casi della vita però, diciamolo che è un tantino “anomalo” che ciò succeda, o quanto meno poco probabile. Ad esempio sarei curioso di sapere se in America o in Inghilterra c’è una così alta presenza di “omonimie” . Non prendiamoci in giro, io mi ricordo che quando andavo all’università una delle cose che mi faceva più sconcertare era vedere gruppi di giovani fanciulli che come cagnolini scodinzolanti andavano dietro i baroni nella speranza che qualche briciola di pane fosse fatta cadere anche per loro dalle laute mense a cui questi signori si sedevano.
Anni di “lecchinaggio” (scusate la crudezza del termine) potevano aprire le porte del mondo accademico; sacrifici, ricerche, titoli per arrivare alla fine al tanto agognato “posto”, magari una borsa di studio, un dottorato, un assegnino di ricerca e spesso anche nulla ; beh se questa è la meritocrazia delle nostre università, permettetemi di dire che non voglio essere “meritevole” di nulla. Lo so, lo so, qualcuno al momento starà storcendo il naso, per carità non voglio fare di tuta l’erba un fascio, c’è gente che siede dov’è solo ed esclusivamente per merito, ma credo che chi sta giustamente storcendo, il naso considerando l’eccezione della sua situazione, debba pensare che spesso è proprio l’eccezione a confermare la regola.
L’università deve essere svecchiata, deve essere data la possibilità a giovani realmente meritevoli di ritagliarsi uno spazio senza necessariamente dovere scodinzolare inseguendo qualche barone dell’alta aristocrazia o senza la necessità di avere un “cognome pesante” da potere sventagliare dinnanzi a tutti. Ora non storcano il naso i docenti universitari, non me ne vogliano, ci sono docenti che hanno sudato per essere dove sono, ci sono docenti in gamba e preparati che sono addirittura allergici ai vari “lecchinaggi” e scodinzolamenti, ma anche in questo caso, a mio avviso essi rappresentano una semplice parte e non purtroppo la totalità.
Il mio invito ai nostri giovani è innanzi tutto quello di non scoraggiarsi (“ne deficere animo”); io credo che alla fine la vera preparazione, in un modo o in un altro debba “necessariamente” ed “inevitabilmente” emergere; allo stesso tempo però invito i nostri giovani a guardare cosa c’è oltre i nostri confini, conoscere altre realtà, altri sistemi, ampliare i propri orizzonti e le proprie esperienze; voi, cari giovani avete le potenzialità che hanno tutti i giovani del mondo e anzi ritengo che il nostro sistema di istruzione, se seguito con criterio e con un po’ di fortuna possa risultare addirittura superiore ad altri sistemi, dandovi quindi la possibilità di emergere in mezzo ai vostri coetanei di altri paesi.
Utilizzate i progetti studio, partecipate agli Erasmus, viaggiate, guardatevi intorno e poi decidete cosa fare della vostra vita. Siete Voi il nostro futuro, il futuro del Paese e dell’Università italiana, siete voi che potete fare risalire la nostra università nelle classifiche mondiali, non scoraggiatevi, coltivate sempre la Speranza, permettete all’università italiana di crescere insieme a Voi, anche quando questa, purtroppo, talune volte, avrà anche l’incoscienza di chiudervi le porte in faccia.