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La vergogna dei positivi al Covid. I nuovi appestati


I nuovi Pària

Il vocabolario Treccani da questa definizione della parola Pària: Nome con cui nell’uso europeo sono indicati gli individui appartenenti alle classi sociali più basse dell’India, detti anche intoccabili. Per estens., persona di condizione sociale molto bassa, che è o si sente emarginata, oppressa e spregiata”. Io la imparai al liceo questa parola. studiando l’incredibile personalità di Mahatma Gandhi. Tranquilli, non voglio fare una lezione di storia, ma è importante tenere a mente la definizione di Paria, perché probabilmente prima o poi (anche se vi auguro con tutto il cuore di no) lo sarete anche voi. Anche io, nessuno escluso.

In Italia, anzi, nel mondo di oggi per essere un paria devi essere positivo al Covid-19. Non c’è solidarietà, né pietà per le persone contagiate, o anche solo per coloro i quali sono “possibili positivi”. C’è odio, c’è rabbia, c’è ghettizzazione. Come se, per prendersi il virus, bisognasse fare qualcosa di orribile.

I responsabili e gli irresponsabili

Facciamo un passo indietro. Se ci guardiamo bene intorno, ci sono (più o meno) due tipi di persone (senza voler fare di tutta l’erba un fascio): le persone responsabili e quelle irresponsabili. Nel primo gruppo, voglio mettere quelle persone che, consapevoli del momento difficile che stiamo vivendo, cercano in tutti i modi di andare avanti prendendo ogni precauzione possibile; non rinunciano a lavorare, spesso non possono, o magari hanno dei figli che vanno a scuola, o ancora forse sono proprio degli insegnanti, o dei medici, insomma persone che sanno di essere esposte al rischio ogni giorno e, ogni giorno, fanno di tutto per stare attente. Come?

Nei pochi modi che conosciamo: mascherina, gel igienizzante, distanza di sicurezza, lavandosi le mani tutte le volte possibili (c’è anche chi, come la sottoscritta, in certi luoghi mette la cosiddetta visiera o casco, non è comoda, ve lo assicuro).


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Insomma, nel primo gruppo vorrei mettere tutte le persone che stanno provando in tutti i modi ad andare avanti e allo stesso tempo a non diffondere il virus. Nel secondo gruppo, senza offesa per nessuno (ma so che vi offenderete lo stesso), voglio mettere tutti gli altri, quelli cioè che non vogliono prendere precauzioni, che indossano la mascherina sotto il naso o che proprio non vogliono indossarla, quelli che ridono di chi sta attento, che abbracciano e baciano il prossimo loro come se nulla fosse successo, quelli che pensano che sia tutto un complotto del governo per schiavizzarci (o forse questi ultimi sarebbe meglio metterli in una terza categoria?).

Che poi, a quelli che non mettono la mascherina, o che la tengono sotto il naso, vorrei chiedergli se hanno da poco letto Gogol, e forse hanno paura che la loro propaggine prenda e scappi via, offesa da quella copertura.

Essere positivi al covid è una vergogna?

Ora, sia ben chiaro: sia i primi che i secondi possono prendersi il virus. È così, purtroppo. Solo che i primi, quando scoprono di essere positivi, o entrati a contatto con un positivo, sentono un’immediata vergogna.

Hanno paura non solo del virus, ma anche di dover dire alle persone che hanno visto di stare attenti. Posso capire la paura, ma perché la vergogna?

Non dovrebbe essere presente, non negli appartenenti al primo gruppo di persone. Le persone responsabili non hanno nulla di cui vergognarsi perché hanno provato in tutti i modi a non “beccarselo”, se alla fine è successo non è colpa loro ma di una situazione grave, satura, difficile e soprattutto nuova, per la quale siamo impreparati.

Lo dico col cuore pesante, con la paura un giorno di dover fare io queste telefonate (proprio io che metto lo scudo al super mercato mentre la signora X parla bellamente al telefono con la mascherina sotto il naso): non dobbiamo vergognarci. Avvisare i nostri cari è un gesto d’amore e di rispetto, e va sempre fatto.


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A proposito dell'autore

Inguaribile nerd, dopo il triennio alla scuola di fumetto di Palermo, ho deciso di unire la mia passione per il disegno con quella della scrittura, così mi sono iscritta alla scuola Holden. Da qualche anno, sono tornata in Sicilia, la mia terra, dove mi occupo di corsi brevi di disegno e scrittura per bambini e di fumetto per ragazzi.