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Lagalla: «Incentivare dialogo tra ricerca e impresa»


Il rettore dell’Università degli Studi di Palermo, Roberto Lagalla, dopo la premiazione dei Dottori di ricerca al Teatro Massimo, fa un’analisi della situazione della cultura, della ricerca e dell’innovazione in Italia.

In un articolo pubblicato su SiciliaInformazioniLagalla redige una sorta di manifesto affrontando il tema soprattutto in riferimento al Mezzogiorno, «dove – afferma il rettore – la valenza dell’istruzione e della formazione superiore si carica di ulteriori significati, connessi al valore che esse assumono quale pedagogico strumento di lotta alla mafia e alla malavita organizzata. La crescita del capitale umano e la capacità competitiva delle giovani generazioni rappresentano un obiettivo strategico e fondamentale per un Paese che intenda raccogliere e sostenere la sfida del futuro in un mondo divenuto oltremodo selettivo ed esigente».

Roberto Lagalla fa, poi, riferimento a un’intervista al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che recentemente ha affermato: «Se perdiamo la sensibilità per la scuola, prima, e per l’Università, poi, diventa difficile adottare misure concrete ed è ancora più complesso raggiungere lo scopo finale che consiste nel miglioramento della qualità e nel recupero della conoscenza».

A tal proposito il rettore tiene a far presente che «a fronte di un così diffuso ed autorevole consenso sulla naturale opportunità di incentivare il sistema nazionale dell’università e della ricerca, quest’ultimo, dal 2009 ad oggi, ha dovuto registrare una contrazione di circa il 20% delle risorse finanziarie trasferite dallo Stato, alla quale si aggiunge una perdita di ricercatori e docenti pari al 15%».

«La percentuale di PIL nazionale destinato al sistema universitario, è, oggi – continua – ben lontana da quella soglia del 3% prevista tra gli obiettivi di medio termine posti a carico dei Paesi dell’Unione con i quali i ricercatori italiani, nonostante le distorsive conclusioni dei ranking internazionali, competono con documentato successo solo che i loro risultati vengano rapportati alla cospicuità delle risorse umane ed economiche che gli altri Stati europei destinano al perseguimento della strategia di Lisbona, mirata allo sviluppo della società della conoscenza ed alla valorizzazione della terza missione dell’Università, basata su innovazione, trasferimento tecnologico e crescita di qualificate opportunità occupazionali, sganciate da perverse logiche pubbliche, troppo spesso assistenziali ed improduttive».

Secondo Lagalla «l’Università italiana ha accettato – e sta affrontando con serietà – il percorso della valutazione, per quanto quest’ultimo, talvolta ancorato a regole meccanicistiche e particolarmente esigenti sul piano burocratico, non sempre sia in condizione di riconoscere pienamente il merito e di premiare quanti, con profonda disponibilità al cambiamento, abbiano effettivamente migliorato la loro performance rispetto al passato. Siamo di fronte al concreto rischio che un approccio privo della necessaria flessibilità ed il continuo depauperamento delle disponibilità alimentino, nella comunità accademica, una progressiva disaffezione ed un pericoloso allontanamento dai suoi valori fondanti: l’insegnamento, la ricerca, il contatto gratificante con gli studenti e con gli allievi; in una parola, la sollecita attenzione alla persona ed il vivido orgoglio dell’appartenenza».

Una precisazione è d’obbligo: «Non intendo sottovalutare l’uso non sempre virtuoso che, nel tempo, è stato fatto dell’autonomia universitaria – determinando sprechi, eccessi e, non infrequentemente, ingloriosi episodi di nepotismo – ma sarebbe esiziale non comprendere come, in tempi profondamente mutati, il sistema, nella sua più larga parte, abbia avvertito l’esigenza di assumere nuove e più impegnative responsabilità. E lo ha fatto chiamando a raccolta quanti, e sono tanti, mantengono forte consapevolezza della essenziale funzione strategica dell’Università e determinata volontà di futuro e di progetto».

Ruolo cruciale sarebbe allora quello svolto dai giovani «ai quali l’Università, così come il Paese, è chiamato a rivolgere una sollecitudine particolare, onde prevenire ed evitare un tradimento generazionale che indurrebbe, più di quanto già non avvenga, lacerazione del tessuto sociale, caduta dell’identità culturale, crescente distacco dalle istituzioni repubblicane, inevitabile attrazione verso altre e lontane, ma più accoglienti e soddisfacenti, opportunità di vita e di lavoro».

Elemento importante e da coltivare dovrebbe essere allora quello dell’«ascolto dei giovani, la condivisione dei loro progetti, la capacità di mostrarci autorevoli e non autoritari, indicando la strada delle regole, dei diritti e dei doveri, ma a condizione che noi, per primi, siamo capaci di inverare, nei comportamenti e nelle scelte, i migliori valori della convivenza civile, abbandonando la tentazione di dispensare solo buone parole, poi smentite dai fatti».

Un pensiero poi rivolto ai neo-dottori di ricerca dell’Ateneo, cui Lagalla augura che venga «assicurata una pronta e pertinente occupazione professionale, capace di trasferire al mondo del lavoro e della produzione le competenze e le esperienze maturate nel percorso dottorale, convinto come sono che quest’ultimo non debba essere rivolto alla sola, peraltro oggi limitata, possibilità di assorbimento nel sistema accademico, quanto piuttosto destinato a moltiplicare le occasioni di incontro tra conoscenza, ricerca e lavoro, con conseguente innalzamento del livello competitivo dell’impresa e del rendimento qualitativo del sistema pubblico e privato».

Riguardo, poi, i dati Istat sull’occupazione giovanile in Italia, il rettore sostiene che si tratta di cifre che «consegnano gli amari numeri di una sconfitta nazionale, tale da rimandare ai critici livelli registrati nel lontano 1977. A questo punto, appare almeno inattuale ricorrere ancora una volta all’abusato luogo comune secondo cui è inevitabile, e forse necessaria, un’”Italia a due velocità”, utilizzato, nel tempo, per rimarcare – e forse anche per demonizzare – gli atavici ritardi del Sud a fronte di un Nord, certamente più evoluto ma oggi segnato, anch’esso, dall’inaspettata brutalità di una crisi che colpisce acutamente l’intero Paese».

Una soluzione, soprattutto al Sud, è quella di «incentivare il dialogo tra il mondo della ricerca e quello dell’impresa avanzata e, dall’altro, la capacità dei reggitori della cosa pubblica di dispiegare robuste politiche di sviluppo, realizzando adeguati e duraturi investimenti a sostegno della concreta valorizzazione del capitale umano e della costante crescita delle competenze».

 

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