“La classifica 2020-21 del Censis è una grossa bufala, contro la quale meditiamo di fare denuncia all’Antitrust come facemmo col Sole24Ore qualche anno fa». Cataldo Salerno, oggi responsabile qualità dell’Università Kore di Enna, non ha peli sulla lingua. La Kore (l’anno scorso la percentuale di iscritti più alta nel Sud Italia, con + 930 studenti in un solo anno) è quarta su cinque nella classifica Censis degli atenei non statali “medi”. «Basta leggere la nota metodologica dice Salerno – dove vengono considerati tanti parametri che non sono di pertinenza dell’ateneo. È come se per fare la classifica del campionato di calcio valessero i collegamenti con lo stadio invece che i punti fatti e le prestazioni in campo. Si considerano borse di studio, alloggi, pasti, tutta roba non di pertinenza delle università, addirittura le borse finanziate da privati. Ma è logico che Bologna e Milano siano avanti». Anche questo, però, influisce sulla scelta degli studenti.
«Non c’è dubbio dice Salerno – soprattutto lo studente meno ricco va dove trova borse e alloggio. Su questo dobbiamo invidiare le Regioni del resto d’Italia in merito al diritto allo studio: la nostra, con qualsiasi governo, non ha mai privilegiato il diritto allo studio universitario e scolastico, che non ripaga immediatamente in termini di consenso elettorale».
Invece, «ci vuole una seria politica per il diritto allo studio, una sorta di Piano Marshall dotato di risorse, che riporti i servizi ai livelli della media nazionale. Se ad esempio parliamo di internazionalizzazione – aggiunge Salerno – di certo il governo nazionale non aiuta il Sud. In Spagna uno studente Erasmus riceve 930 euro al mese, in Italia la borsa Ue è di 270 euro e gli atenei riescono a integrarla a malapena: i ragazzi siciliani devono sostenere costi molto più elevati per andare in Europa.
Va solo chi può permetterselo». Ecco perché la polemica dei rettori del centro Nord contro gli incentivi per far restare al Sud gli studenti è «stucchevole, tutti gli atenei, anche quelli pubblici sono sul mercato», secondo Salerno. Per il quale è da anni «in corso una potentissima campagna subliminale degli atenei del nord per attrarre i giovani siciliani: grandi investimenti in pubblicità, i media che danno voce solo ai docenti di atenei nel centro-nord».
«Macché concorrenza sleale, è normalissima competizione, visto che il principale criterio con cui il Miur assegna i fondi è il numero di iscritti». Anche Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo, respinge al mittente le “proteste” dei colleghi al timone di atenei del Centro-Nord Italia che non vedono di buon grado incentivi come la no tax area allargata (a Palermo fino a 25mila euro, 5mila in più rispetto alle indicazioni nazionali, ndr) o la copertura dei costi di iscrizione “offerta” dalla Regione siciliana a chi rientra. Anche se, aggiunge Micari, «sui media è passata solo la notizia del contributo di 1200 euro agli studenti che tornano in Sicilia, ma non il contributo per sostenere l’affitto dei fuori sede siciliani». Come dire, raccontiamola tutta. Non c’è squilibrio.
«La nostra offerta formativa è di elevata qualità – aggiunge Micari – non ha nulla da invidiare a quella degli atenei del Nord». E se sulle immatricolazioni «il nostro unico indicatore al momento sono le richieste di partecipazione ai test d’ammissione, superiori all’anno scorso», restano alcuni punti di fragilità nell’appeal esercitato dalle università siciliane. Anche la classifica del Censis li evidenzia. L’Università di Palermo ha fatto un bel balzo in avanti, risalendo alla 12esima posizione fra i 17 grandi atenei statali italiani. Ma restano deboli voci come “servizi” e “occupabilità”. Un parametro molto valutato da chi si iscrive. In quest’ultimo caso, aggiunge il rettore di Palermo, «non dobbiamo nasconderci, il nostro contesto regionale non è come quello del Nord e nelle classifiche su questa voce si dovrebbe considerare la realtà territoriale».
Anche Francesco Priolo, rettore dell’Università di Catania, ritiene che «la querelle con gli atenei del Nord lasci il tempo che trova». Sulla classifica del Censis (Catania nona tra i 10 “mega” atenei italiani) il rettore precisa: «Siamo molto migliorati nella comunicazione e nei servizi digitali, con una valutazione che si riferisce ai primi sei mesi del 2020 che considero un segno del nuovo passo che abbiamo impresso all’ateneo. Per gli altri indicatori, che spesso si riferiscono agli anni passati, dovremo attendere l’anno prossimo per avere una fotografia attuale: per le strutture stiamo lavorando a un piano aule per ammodernarle tutte, sull’internazionalizzazione abbiamo predisposto un piano mobilità studenti che si aggiunge all’Erasmus, sulle borse abbiamo messo mezzo milione di euro per quelle di merito. Sono convinto che saliremo nella graduatoria».
C’è il nodo occupabilità ed «è chiaro che la situazione è differente tra Nord e Sud. I nostri giovani li formiamo benissimo, ma devono anche essere disposti a muoversi per lavorare». Se la formazione è di assoluta qualità, come attrarre gli studenti allora? «C’è un problema di infrastrutture – aggiunge Priolo – ma mi aspetto che nel giro di qualche anno tante cose cambieranno. Sono molto fiducioso».
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