Si fanno tanti sacrifici per studiare. Economici, prima di tutto. Poi in termini di impegno, di costanza, di preparazione. Ma una volta raggiunto il tnto agognato trguardo della laurea che succede? Purtroppo trovare lavoro una volta ottenuto il titolo accademico, in Italia, non è per niente una conseguenza immediata.
Secondo i dati Eurostat dello scorso febbraio, il Paese è al terzultimo posto tra quelli europei per numero di laureati che hanno trovato lavoro a tre anni dalla conclusione degli studi, con una percentuale tristemente bassa del 58,7%. Peggio di noi fanno soltanto due Paesi che non appartengono nemmeno all’Unione europea, la Macedonia del Nord e la Turchia. Anche se il trend è in lieve e costante miglioramento dal 2011, quando la percentuale era del 57,7%. La crisi economica seguita a quella sanitaria dovuta al Covid rischia di peggiorare ancora di più le cose.
Una crisi che ha radici profonde
La scarsa capacità di assorbimento dei laureati nel mondo del lavoro italiano, ha radici molto più profonde.
I tagli all’istruzione degli ultimi dieci anni e la diffusa precarietà dei contratti di lavoro hanno costretto tanti laureati, spratutto quelli in maniere umanistiche, a ripiegare su impieghi sottopagati e lontani dal loro campo di formazione accademica. Il risultato è che molti laureati si trovano a svolgere mansioni per le quali avrebbero potuto evitare di iscriversi all’università.
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Investimenti sulla ricerca al di sotto della media europea
In Italia è evidente un problema sempre più critico con l’occupazione di persone qualificate. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono infatti al di sotto della media europea. Dai dati pubblicati nel luglio 2020 sul sito della Camera, soltanto l’1,39% del Pil viene utilizzato per attività legate al mondo dell’innovazione. E questo ci colloca al penultimo posto tra i 15 Paesi più importanti dell’Unione europea.
La logica conseguenza di questi dati è un numero di ricercatori molto inferiore rispetto alla media Ue. Soltanto due laureati su cento sono assunti dalle imprese per svolgere ricerca nel loro campo di studio. Uno dei motivi di questo fallimento è la difficoltà nel gestire imprese ad alta intensità di Ricerca e sviluppo in Italia. L’analisi della Camera, infatti, evidenzia tra gli ostacoli il difficile accesso al credito e le dimensioni limitate del mercato azionario, che non permettono alle aziende innovative di crescere.
Scarso utilizzo degli strumenti di legge per assumere neo laureati
Un altro dato preoccupante è lo scarso utilizzo degli strumenti che la legge mette a disposizione delle aziende per assumere giovani laureati. L’apprendistato di alta formazione e ricerca, per esempio. Le criticità sono di diversa natura e sono principalmente legate al cattivo funzionamento della burocrazia e alla scarsa capacità di collaborazione tra atenei, sindacati e imprese. Le aziende non hanno relazioni stabili con le università, salvo poche eccezioni. Mentre i sindacati ormai da anni trascurano gli interessi dei neo laureati per concentrarsi su altre categorie. Il risultato è un esodo verso l’estero.
Per chi rimane in Italia è sempre più frequente la prospettiva di trovare impiego che non corripsonde alle competenze e agli studi fatti. Più di 7 assunzioni su 10 inoltree sono relative a contratti di lavoro a tempo determinato con una durata molto breve, spesso inferiore a tre mesi.
E il sistema cosa fa per migliorarsi?
Da almeno 30 anni le azioni per migliorare questa criticità sistemica sono accantonate da una classe dirigente che preferisce tollerare questo stato delle cose anziché cambiarlo. La crisi che stiamo attraversando ha messo a nudo tutti i limiti di una politica priva di una prospettiva che vada non oltre le prossime elezioni, ma addirittura oltre il prossimo sondaggio delle intenzioni di voto.
Intanto più di 4 laureati su 10 non hanno ancora un lavoro dopo tre anni dalla laurea, dimenticati dalle istituzioni che dovrebbero garantire loro una occupazione, e quindi una vita, dignitosa.
E riducendo in tal modo la laurea a una pezzo di carta che spesso ha meno valore dei giusti agganci o di una buona dose di fortuna.
Non sono certo questi i presupposti per un paese che vuole proiettarsi nel futuro e investire sulle sue intelligenze. Ci auguriamo che avvenga presto una presa di coscienza di questo dato allarmante.