Mentre in Italia i fondi del Pnrr rischiano di allargare l’emergenza abitativa invece di risolverla, a Berlino l’università costa poco, due studenti su tre lavorano (spesso proprio per la facoltà). E i posti negli studentati sono di più
Università gratis (o quasi). Maggiori possibilità di accedere a posti letto a prezzi agevolati. E più ampia offerta di occupazioni part-time, adatte a chi sta completando il percorso di studi. Ecco perché la Germania è tra la le destinazioni più comuni per chi sceglie di studiare all’estero. È così già da anni ma, secondo il rapporto “Open Science 2022” redatto dal Servizio per gli scambi accademici, Daad, e il Centro per l’università e la ricerca scientifica, nel 2021/22, le università tedesche hanno accolto 350 mila studenti internazionali: un incremento dell’8 percento rispetto all’anno prima.
Nello stato più popoloso dell’unione europea gli universitari non pagano la retta per frequentare gli atenei pubblici ma contributi amministrativi inferiori ai 300 euro per semestre che di solito includono anche l’abbonamento ai mezzi di trasporto. Due universitari su tre lavorano, per la maggior parte part-time: o all’interno dell’università, come tutor o impiegati nelle biblioteche ad esempio, grazie a contatti strutturati per chi sta studiando. Oppure, nel 40 percento dei casi, come camerieri, tassisti e commessi. Le agenzie per il lavoro sono di solito presenti dentro gli atenei, con proposte adatte a chi frequenta le lezioni, in modo da agevolare e velocizzare la ricerca.
Anche la maggiore facilità di accesso agli studentati è uno dei fattori che permette a chi vive in Germania di frequentare l’università: il prezzo medio per un posto letto nelle residenze era di circa 270 euro nel 2016, compresi i costi aggiuntivi. Così si capisce dall’ultima indagine sociale condotta da Deutsches studentenwerk, l’unione dei sindacati studenteschi tedeschi. Che gestisce 1.800 residenze universitarie per 196 mila alloggi: «Per studenti. Senza perseguire il profitto e puntando a mantenere gli affitti bassi. I posti vengono assegnati in base alle esigenze sociali e non alla solvibilità dell’inquilino». Si legge sul sito di Deutsches studentenwerk. Esistono alloggi a prezzi accessibili a disposizione degli studenti con figli, dotati di spazi adatti ai bambini, perché incontrare donne incinte, madri e padri nelle università tedesche non è raro: il 6 percento degli studenti in Germania ha almeno un figlio.
In Italia oggi invece, in tutto i posti messi a disposizione dagli enti regionali per il Diritto allo studio sono 40.069, di cui 1.075 temporaneamente non disponibili. Un dato in calo del 7,1 percento rispetto agli anni precedenti. Solo il 4 percento degli studenti italiani ha, infatti, accesso agli alloggi pubblici. Tutti gli altri universitari fuorisede, circa 600 mila, sono vittime del caro affitti. (A cui si dovrebbero aggiungere, per comprendere le conseguenze della crisi abitativa, altri 4,3 milioni di fuorisede che sono lavoratori).
Con il Pnrr l’obiettivo è di creare 60 mila nuovi posti letto per gli universitari entro il 2026. Al fine di avvicinarsi alla copertura media europea secondo cui il 20 percento degli studenti fuorisede dovrebbe avere accesso alle residenze universitarie (in realtà servirebbero 80 mila nuovi posti per averne in tutto 120 mila). Con il primo intervento è già stata finanziata, con 300 milioni di euro, la creazione di 8.581posti letto, di cui 7.524 assegnati a studenti universitari. Ma, come ha sottolineato l’Unione degli universitari, dopo aver condotto uno studio su come sono stati erogati i fondi del Pnrr, «questi sono andati per due terzi nelle mani di enti privati, in particolare a Camplus, il primo provider di housing per studenti in Italia, che ha ottenuto più di 108 milioni di euro».
Altri 52 mila posti letto saranno finanziati con 660 milioni. Ma nella missione 4 del Pnrr non è esplicitato che dovranno essere destinati a garantire il diritto allo studio. Con la conseguenza che ad arricchirsi saranno i privati che ricevono un contributo a fondo perduto per la copertura dei costi di gestione per i primi tre anni e che hanno la possibilità di affittare le stanze anche ad altri, tra cui i turisti, quando non utilizzate dagli studenti. Ma soprattutto con il rischio che invece di risolvere l’emergenza abitativa la si allarghi perché non c’è un vincolo che lega i prezzi alle possibilità degli studenti. Allungando la lista delle ragioni per cui sempre sempre più giovani lasciano l’Italia per trasferirsi all’estero, anche per studiare. Magari in Germania.