La tragica storia del ragazzino napoletano suicida a 11 anni, ha fatto riaccendere i riflettori sulla pericosa situazione delle challenge dell’orrore. Pare infatti che la vicenda possa essere collegata, secondo le prime indagini degli inquirenti, alla challenge Jonathan Galindo. Questi tipi di challenge, attraverso personaggi inquietanti e falsi profili, sfidano i giovanissimi a prove di coraggio pericolose.
I bersagli preferiti di questi giochi mortali e perversi sono ragazzi fragili, insicuri, che si lasciano facilmente abbindolare perché ancora non hanno sviluppato una propria autonomia di giudizio.
La genesi di questo tipo di challenge
Blu Whale
Uno dei primi fenomeni di questo genere si è verificato in Russia con la challenge Blue Whale, a cui vennero ricollegati decine di suicidi. Il macabro gioco consisteva in 50 giorni di prove, incentrate sull’autolesionismo, che culminano nel suicidio del giocatore coinvolto.
L’ondata della challenge presto si è sparsa anche al di fuori dei confini della Russia, raggiungendo Europa e Stati Uniti. Tuttavia la Blue Whale non è di certo l’unica sfida di questo genere.
Momo Challenge
L’anno scorso iniziò a circolare una nuova immagine che raffigurava il volto inquietante di una ragazza con occhi sporgenti, capelli unti e vestiti stracciati. Il nome di questo personaggio è Momo. Un’entità che solitamente prende di mira i più giovani, chiedendo loro di contattare un numero Whatsapp. Da questo numero, poi, si ricevono istruzioni per completare una serie di compiti bizzarri e pericolosi. Come ad esempio non dormire, farsi del male, fino ad arrivare al suicidio. In questo caso chi ci sia dietro i numeri Whatsapp non è del tutto chiaro. E’ possibile invece ricostruire le origini della foto di Momo: appartiene a una scultura che Keisuke Aisawa ha prodotto per Link Factory, una casa di produzione Giapponese che si occupa di effetti speciali per il cinema.
Jonathan Galindo Challenge
Dopo che anche la maschera di Momo è diventata obsoleta, ultimamente è nata una nuova challenge, anch’essa collegata a un volto spaventoso: la Jonathan Galindo Challenge. Jonathan Galindo è un fenomeno molto conosciuto negli Stati Uniti. Ruota attorno all’immagine inquietante di un ragazzo sfigurato che sembra indossare una maschera con le fattezze del personaggio Disney Pippo. Dagli stati Uniti è poi sbarcatoin Europa. Come per Momo, non esiste nessun vero Jonathan Galindo intenzionato a far del male agli adolescenti. Si tratterebbe invece, sia in America che in Europa, di una serie di falsi profili creati con lo scopo di adescare giovani e giovanissimi per sottoporli a una challenge non troppo diversa dalle altre di questo genere che l’hanno preceduta. Infatti, il meccanismo è simile a quello già sperimentato: se accetti la richiesta di amicizia da profili fake con la macabra foto ormai tragicamente nota, ti viene inviato tramite messaggistica un link che ti propone di entrare in un gioco nel quale vengono stabilite determinate sfide e prove di coraggio, fino ad arrivare all’autolesionismo, o peggio, alla morte.
Le challenge pericolose in Italia
Il caso più noto, legato alla Blue Whale, vede come protagonista una ragazza 23enne, attualmente sotto processo. il messaggio incriminante mandato da lei che si spacciava come una delle curatrici della Blue Whale Challenge diceva:“Se sei pronta a diventare una balena inciditi ‘yes’ sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”. La vittima era una giovane di 12 anni, adescata tramite il web. E proprio grazie a quel messaggio è stato possibile incriminare la 23enne con l’accusa di atti persecutori, cioè stalking, e violenza privata, aggravata dal fatto di aver costretto, con un complice che ora ha 16 anni, una alunna di scuola media a infliggersi tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come step iniziale delle 50 prove di coraggio.
La situazione attuale
Ad oggi, questo appena citato sembrava essere il primo e unico caso accertato di Blue Whale in Italia. Agli inquirenti toccherà stabilire se la recente scomparsa del ragazzo di 11 anni che, a Napoli, si è lanciato dal decimo piano, possa essere riconducibile a una di queste challenge online, e quindi avviare le indagini per scoprire chi si cela dietro un falso profilo.
Noi ci auguriamo che, a prescindere dal fatto che il suicido del ragazzino napoletano sia riconducibile o meno ad una specifica challenge, gli organi preposti possano attivarsi per scovare i profili fake di questo tipo e perseguire coloro che stanno dietro a queste logiche perverse. E’ necessario un intervento tempestivo anche per evitare il frequente effetto imitativo che producono le cattive azioni. E il web purtroppo da terreno fertile a tutti gli psicopatici malintenzionati.
Quindi stiamo allerta ragazzi, e vigiliamo sull’utilizzo che fanno del web soprattutto ragazzini e adolescenti, le vittime preferite di questi squilibrati.
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