La procura di Palermo ha assestato un duro colpo allo storico mandamento di Cosa nostra, quello di Tommaso Natale. 16 gli indagati tratti in arresto dai carabinieri nell’ambito dell’operazione “Bivio” con l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento seguito da incendio, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, è l’ulteriore esito dell’attività condotta dal Nucleo Investigativo sul mandamento mafioso e, in particolare, sulle famiglie di Tommaso Natale, Partanna Mondello e Zen-Pallavicino.
Documentata la costituzione di una nuova famiglia, quella “Zen-Pallavicino“, dotata di esplosivo al plastico e armi da guerra per assaltare portavalori e distributori di benzina e incassare denaro destinato ad affiliati e detenuti. Una potenza di fuoco che doveva servire anche a sopprimere i ‘cani sciolti’. Si sono però registrate forti tensioni tra i vertici designati dalla nuova Cupola ricostituitasi nel 2018 e i vecchi boss come Giulio Caporrimo.
Le tensioni tra la nuova e la vecchia mafia
Caporrimo, che durante la realizzazione dell’ambizioso cambiamento nell’assetto mafioso della provincia palermitana era detenuto, una volta riacquistata la libertà il 24 maggio 2019 si era scontrato con una nuova leadership. Si vedeva sottoposto alla direzione di un Francesco Palumeri che non riconosceva come suo leader e non riteneva all’altezza. A suo parere le decisioni violavano una delle regole principali dell’organizzazione: si è mafiosi fino alla morte e si mantiene il proprio incarico di vertice anche nel corso della detenzione. Caporrimo, quindi, aveva deciso di stabilirsi a Firenze per prendere le distanze da questa nuova organizzazione che era arrivato a definire non più come Cosa nostra, ma come “Cosa come ci viene. Io sono Cosa nostra e loro neppure li appoggio“.
L’organizzazione verticistica, quindi, si è trovata davanti a un ‘bivio’: accettare la ricostituita Cupola, oppure rimettere in discussione tutto attraverso i carismatici boss di un tempo tornati in libertà come Caporrimo. E in effetti, quest’ultimo, dopo avere trascorso un periodo di isolamento a Firenze, è rientrato a Palermo l’11 aprile 2020 riuscendo in poco tempo ad accentrare nuovamente su di sé le più delicate dinamiche dell’intero mandamento senza spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare. Caporrimo, appoggiato dalla sua base mafiosa sul territorio (si sono rivelati suoi fedeli alleati Antonino Vitamia, capo della famiglia di Tommaso Natale, Franco Adelfio, di Partanna Mondello, e Cusimano, ai vertici della famiglia Zen/Pallavicino) ha dunque ripreso in mano le redini dell’intero mandamento mafioso, sino al suo ultimo arresto avvenuto con l’operazione “Teneo” nel giugno 2020.
La nuova famiglia Zen-Pallavicino
È stata quindi registrata la nascita di una sua nuova articolazione: la famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino, affidata alla gestione di Giuseppe Cusimano con l’aiuto di Francesco L’Abate, caratterizzata da problemi gestionali, dovuti all’esuberanza criminale e alla violenza di gruppi di persone che, non affiliate formalmente a Cosa nostra, hanno creato varie criticità sul territorio. Fra i tanti momenti di tensione si è registrato, lo scorso settembre 2020, un vero e proprio duello tra due gruppi armati (uno composto da Andrea e Carmelo Barone appoggiati da Cusimano), affrontatisi armi in pugno, in pieno giorno e in strada, esplodendo svariati colpi di pistola. Fatti che hanno indotto i vertici mafiosi a prendere provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditando la soppressione di alcuni ‘non allineati’, sventati dagli investigatori.
Allo Zen i vertici mafiosi hanno anche tentato di accreditarsi quali referenti e benefattori in grado di fornire aiuti alla popolazione in tempo di Covid. Il boss Giuseppe Cusimano, infatti, presentandosi come punto di riferimento per le tante famiglie indigenti del quartiere, ha tentato di organizzare una distribuzione alimentare durante la prima fase di lockdown del 2020. Una circostanza, sottolineano gli investigatori, che dimostra come Cosa nostra “è sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso”.
Forte in tutto il mandamento di Tommaso Natale di Palermo, la pressione estorsiva ai danni di imprenditori e commercianti. Una morsa, come emerso nel corso dell’indagine culminata oggi nell’operazione dei carabinieri “Bivio”, coordinata dalla Dda del capoluogo siciliano, finalizzata, da una parte, a imporre i mezzi d’opera di alcuni affiliati mafiosi a tutti gli imprenditori impegnati in attività edili; dall’altra a riscuotere il pizzo in maniera capillare, pena incendi e danneggiamenti. Ricostruite 13 attività estorsive aggravate dal metodo mafioso (10 commesse e 3 tentate), nonché due danneggiamenti seguiti da incendio contro imprese. Hanno collaborato con gli investigatori, denunciando i fatti, cinque imprenditori.