Non è il primo, ma al momento è l’ultimo in ordine cronologico. Da poco si è scoperta la causa che probabilmente ha portato il giovane 25enne Antonio Cerreto all’estremo gesto del suicidio. Per un dramma che ha colpito tutto il Napoletano lunedì scorso, ma in generale la comunità studentesca.
Insieme ad Antonio, si aggiungono tanti giovani come Andrea di Catania o Daniela. Il peso di sentirsi inutili prevarica. La paura di non rendere orgogliosi i propri genitori prevale. Ed è qui che dovrebbe agire l’istituzione Università, che non è solo quella dei voti, degli esami frettolosi o delle tesi scintillanti.
Deve esserci al centro un’attenzione per i ragazzi che non ce la fanno, per quelli che arrancano. Troppo spesso, anche se non è vero, gli studenti si sentono delle ruote di scorta della società: studiosi, ma in fondo non produttivi.
Gli atenei qui agiscono poco, senza un reale supporto psicologico e formativo. Il tutoraggio offerta agli studenti è sempre insufficiente: perché manca il tempo, perché non ci sono i fondi, perché le nuove risorse devono servire ad altro. E nel mentre quei giovani restano lì fermi, immobili, senza saper srotolare quella matassa di lana ormai diventata troppo grossa e ingestibile in solitudine.
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Antonio doveva essere aiutato da un sistema assente
Antonio Cerreto aveva promesso ai suoi genitori che la laurea fosse vicina e regolare. Ma così non era. Aveva preparato solo 10 esami della sua triennale in Lettere, all’Università di Napoli. Gli altri esami ancora li doveva preparare: e quel peso è stato fatale. Tanto fatale da farlo cadere dal palazzo della sua facoltà.
Gli amici di una vita e i familiari sono rimasti gelati appresa la notizia. Nessuno di loro si aspettava l’estremo gesto. “Un’ intera adolescenza passata insieme – scrive uno di loro – Giorno e notte letteralmente passati a fare di tutto e di più. È vero ci siamo allontanati, abbiamo preso strade diverse ma mai una discussione mai un litigio. Questa notizia mi ha distrutto credimi, ti porterò sempre nel cuore. Ti voglio e ti vorrò sempre bene amico mio”.
Adesso è arrivato il momento che il sistema universitario si metta una mano sulla coscienza per capire come fermare questi casi che non sono sporadici. Solo con l’aiuto degli atenei si riuscirà a sconfiggere questo male.