Occupazione, una parola che, di questi tempi, può fare tremare intere nazioni.
Il problema dell’occupazione, in particolare di quella giovanile, è un tema di attualità in un paese come l’Italia, del quale non si hanno notizie in materia di crescita e sviluppo, se non attraverso la demagogia politica propinata dai giornali.
Il problema è serio e non è certamente da sottovalutare. Il tasso di disoccupazione giovanile è secondo i dati forniti dall’ISTAT si attesterebbe intorno al 29%. In Sicilia sono molti i giovani che non riescono a trovare lavoro nel periodo post-laurea, chi per un motivo chi per un altro.
In Europa, secondo i dati forniti da eurostat, siamo gli ultimi per occupati giovanili e i primi per “neet”, ovvero ragazzi scoraggiati che non studiano e non lavorano (meglio di noi anche Grecia, Bulgaria, Romania).
Non solo: nonostante un miglioramento degli ultimi anni, il gap tra Italia e Ue è ancora molto alto per abbandono scolastico (siamo 3 punti sopra la media) e percentuale di laureati (siamo sotto di addirittura 14 punti). In pratica, il nostro continua a non essere un Paese per giovani. La conseguenza? Oltre 320mila ragazzi e ragazze (20-34 anni) hanno lasciato l’Italia tra il 2009 e il 2018, molti dei quali senza prospettiva di ritorno.
La laurea, fino ad una decina di anni fa, era vista come una specie di conquista che garantiva una sicura e ben retribuita occupazione; purtroppo oggi non è più così. Oggi tra bandi di concorso ristrettissimi e tirocini lunghi e non sempre proficui, ci si ritrova quasi sempre al punto di partenza, respinti dal mondo del lavoro in cui si cerca di entrare.
Ovviamente per le lauree altamente specializzanti non si pone questo problema, proprio per il carattere della professione che si va ad intraprendere; c’è da dire, però, che questa tipologia di occupazione (es. dietologi) si ottiene da corsi con pochi studenti e in cui è difficilissimo entrare per i pochi posti a disposizione. Grandi problemi, invece, si pongono per le lauree più generiche, come Giurisprudenza ed Economia, ormai quasi sature per numero di laureati.
Il quadro sembra quasi desolante, ma tante volte non si riesce a trovare lavoro per colloqui ai limiti dell’assurdo. Nel caso dei lavori più popolari, per esempio, possiamo citare i colloqui nei quali cercano “gente giovane e con voglia di lavorare” per poi risponderti che cercano “gente con esperienza”; oppure quei colloqui per cui scrivono una cosa nella premessa e poi va a finire che si riducono sempre alla vendita del solito aspirapolvere da 1500 euro; insomma, cose assurde che accadono solo o quasi in Italia.
Per i lavori un po’ più altisonanti, invece, spesso bisogna seguire la trafila di concorsi e tirocini, i quali sono percorsi quasi sempre pieni di insidie e trappole, con un’alta percentuale di concorrenza all’ultimo sangue.
Certamente la laurea ha una valenza direttamente proporzionale alle esigenze del mercato; tuttavia, questo periodo di crisi e la mancanza di percorsi definiti durante il periodo post-laurea fanno sì che molti giovani finiscano per non trovare lavoro. La soluzione sarebbe una definizione minuziosa e sistematica del periodo successivo alla laurea, che permetta ai giovani di potersi avvicinare al mondo del lavoro, a seconda delle loro competenze, e non cercare affannosamente di arrivarvi.
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