Bentornati alla nostra rubrica dei film da vedere su Netflix a novembre! Anche questo mese tornano i nostri consigli. Ecco le dritte cinefile a portata di clic!
Sarà un autunno difficile per tutti, e mentre gli spettatori italiani rispolverano mestamente account e conti su MioCinema, per far fronte all’ennesima chiusura delle sale (definitiva o meno) resta viva l’alternativa mai passata di moda del ritorno a Netflix. Il palinsesto del colosso OTT lancia in realtà un mese senza particolari sussulti, forse colto in controtempo dai lockdown di queste ore; calato il jolly dei Chicago 7 di Sorkin (già in odore di Oscar), proseguono in vista della stagione natalizia le retrospettive iniziate le scorse settimane (Sorrentino, presente ora con L’Amico di Famiglia), il recupero di qualche action recente e un cospicuo numero di originals da andare a scoprire.
In un mese con poche perle e molto usato sicuro, c’è dunque spazio per registi classici e grandi nomi, con uno sguardo rivolto a quelle che avrebbero dovuto essere le uscite in sala del periodo. Ecco qualche consiglio per orientarsi tra i film noti, con molti Maestri acclamati e una certa cautela nelle proposte.
Ecco 5 film da vedere su Netflix a novembre 2020:
Diaz – Daniele Vicari (2012)
In un decennio di cinema italiano trascorso alla spasmodica ricerca del nuovo, del twist e dell’estraneo, il Diaz di Daniele Vicari è rimasto il twist più nuovo ed estraneo di tutti. Battezzato all’uscita da una polemica mediatica come di rado se ne vedevano e come più non si sono viste, il film arrivò in sala saturo di discussioni e sovrastrutture scandalistiche, che forse ne danneggiarono il risultato sul momento. Oggi è difficile che vanga ricordato tra i classici di questi anni, ma c’è poco da fare: il film è incredibile, feroce e potente come pochissimi lavori prodotti a Cinecittà e dintorni negli ultimi quarant’anni.
Quasi un film dell’orrore prima che di denuncia, una testimonianza di violenza e abuso che aborrisce ogni compromesso narrativo e si fa sanguinoso contraltare alla celebre, discussa ellissi di Sulla Mia Pelle. Di fronte alla porta chiusa del commissariato, Alessio Cremonini allontanava la macchina da presa: Vicari si avvicina, entra e rimane fino alla fine, seppellendo ogni pudore morale. Cinema estremo, come se ne trova sempre meno.
Primo Amore – Matteo Garrone (2004)
Per un incatalogabile come Vicari, un rinomato maestro come Matteo Garrone si gode oggi i meritati frutti di una carriera ormai serenamente assestatasi sul cinema su commissione. Fa però bene ricordare ogni tanto come dietro al regista di educati progettoni pubblici come Pinocchio o Lo cunto de li cunti di Basile ci sia stato una volta l’autore di film come Primo Amore. Ancor più del più famoso L’Imbalsamatore o del recente Dogman, è forse il film del 2004 il capolavoro morboso del regista, qui al suo abisso più intossicante di ossessioni e torture mentali, inflitte a protagonisti la cui fragilità condanna alla macelleria dei sentimenti.
Un film crudele e raggelato come pochi, che fin dal titolo ironizza sarcastico sulle devastanti relazioni umane (oggi si direbbe “tossiche”) tra personaggi solitari e malati, e l’annichilimento metaforico e letterale cui portano.
L’Inganno – Sofia Coppola (2017)
Pochi autori contemporanei si rendono capaci di dividere come Sofia Coppola. Il che fa quasi strano, vista la relativa semplicità e bonarietà del suo cinema, non certo controverso o respingente. Il personaggio della figlia d’arte fa però fatica a conquistarsi un pubblico al di là di pochi affezionati, e nonostante una serie di film azzeccati il suo nome resta ancora collegato a lavori quantomeno discutibili come Maria Antonietta e Somewhere, che a fine anni 2000 ne spensero l’aria da next big thing.
In realtà, già in The Bling Ring Coppola aveva dimostrato una ritrovata capacità nello sventrare la psiche della gioventù femminile yankee più privilegiata (da sempre il suo grande tema). Il successivo The Beguiled del 2017 prosegue la fase di forma; è un po’ il suo Parasite, nel senso di film più potenzialmente commerciale, addirittura divertente, al servizio di un intreccio studiato piuttosto che di sensazioni. Tra i suoi più accessibili, e buon compromesso per iniziare a riapprocciarsi all’autrice.
The Accountant – Gavin O’Connor (2016)
Elegante e notevole innesto nel recente filone a base di attoroni hollywoodiani di mezza età in cerca di seconda vita action. Meno pirotecnico di John Wick, meno scemo di un Taken, meno old school di The Equalizer, The Accountant è in realtà un lavoro di fino molto più interessante di quanto non appaia. Merito in primo luogo di un regista silenzioso e mai in fondo capito come Gavin O’Connor; autore di un piccolo classico come Warrior, rimasto bloccato su progetti su commissione nati morti (Janie’s Got a Gun), ha recentemente trovato nel faccione imbolsito e depresso del Ben Affleck recente l’attore ideale per le sue americana action sentimentali e irresistibili (sperando che l’ultimo Tornare a Vincere, bloccato dalla pandemia, riesca in un lontano futuro a vedere le sale).
Nel film del 2016 ci sono più arti marziali e corpo a corpo del solito, esistenzialismo col contagocce e persino un abbozzo di malattia mentale: sempre con lo stile impeccabile del professionista vero. Un colpo sicuro per i vecchi fan del genere, se ne esistono ancora.
Café Society – Woody Allen (2016)
Allen sì, Allen no, Allen forse. A proposito di film bloccati, Rifkin Festival sarebbe dovuto uscire in questi giorni, ma a questo punto è difficile fare piani. Come è difficile guardare oltre questo periodo, e ipotizzare se quello del 2020 sarà o non sarà ricordato come l’ultimo film del regista. Nel frattempo ci si porta avanti, e la già ricca bacheca dell’autore su Netflix si arricchisce di quello che, con ogni probabilità, resta il suo miglior film del decennio 2010.
Superato il periodo di stanca di inizio millennio, a partire da Basta Che Funzioni (2009) Allen ha messo in fila un filotto di titoli non male; Cafè Society è il malinconico ed elegiaco titolo da terza età, sospeso tra memorie d’infanzia, sogni di gloria giovanili, e l’amata letteratura americana di inizio secolo. Un titolo piccolo ed enorme insieme, e anche qui un buon viatico per chi fosse rimasto indietro di dieci o quindici titoli, e cercasse un punto da cui iniziare per fare pace col regista.