Una passeggera di un volo EasyJet, costretta a cambiare di posto per la richiesta di un altro passeggero, sarà risarcita dalla compagnia aerea. Che ha ammesso di aver violato le proprie linee di condotta. Un caso che ha fatto molto discutere, quello della passeggera costretta a spostarsi dopo che il suo vicino di posto si era lamentato con gli assistenti di volo:
«Non voglio sedermi accanto a una donna».
La passeggera a cui spetterà l’indennizzo è una donna dalla doppia cittadinanza, britannica e israeliana, che vive a Tel Aviv. Melanie Wolfson, dopo aver denunciato quanto accaduto alla fine del 2019, aveva avviato una causa contro EasyJet.
Lo stesso episodio si era poi ripetuto pochi mesi dopo, sempre su un volo EasyJet da Tel Aviv a Londra
Anche in quel caso, un ebreo ultra-ortodosso le aveva chiesto di spostarsi, per poi insultarla e umiliarla al primo rifiuto.
Alla fine, per il timore di decollare in ritardo, Melanie Wolfson aveva deciso di cambiare posto ma anche in quel caso aveva protestato con gli assistenti di volo, senza tuttavia ricevere il minimo appoggio.
Da qui ne è nata una battaglia legale con EasyJet, dal momento che per Melanie la compagnia aerea aveva violato la legge israeliana. La legge punisce la discriminazione dei clienti su base razziale, nazionale, religiosa, di genere e di orientamento sessuale.
Il caso si è risolto con un’ammissione di colpa di EasyJet. «Siamo pienamente consapevoli che alcuni uomini sono a disagio quando siedono accanto a una donna che non sia una familiare, a causa delle loro credenze religiose» – spiega la compagnia aerea in una nota – «Le nostre politiche, però, prevedono che i passeggeri di sesso femminile non debbano cambiare di posto per il semplice fatto di essere donne. Quelle politiche sono state violate e siamo disposti a risarcire la passeggera, oltre a migliorare le nostre politiche e la loro applicazione tramite una formazione aggiuntiva del nostro equipaggio». Alla fine, EasyJet rimborserà a Melanie Wolfson 66.438 shekel, poco meno di 18mila euro.
fonte The Guardian
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