La polvere sotto il tappeto puoi nasconderla per giorni, mesi anche anni. E puoi anche dimenticarla dopo un po’. Sta lì, silenziosa, e finisci per non ricordare più che esista.
Ricevi ospiti a casa, metti i migliori abiti e profumi la stanza di buono, ma lei è lì, buona buona.
Succede però l’imponderabile. Che ne so, un’epidemia che nel giro di 24 ore stravolge completamente tutto..
Ed è allora che quella polvere, ben riposta per tanto tempo, viene fuori. E si badi, sarà anche poco elegante, ma ha lo stesso diritto di stare al mondo del prezioso vaso di porcellana cinese che metti in bella mostra sul mobile d’ingresso.
Questa è Palermo. Un salotto di una bellezza senza tempo, una galleria d’opere d’arte d’ogni fattura che ha la polvere sotto i tappeti e le tende lise.
Siamo gli intellettuali e i professionisti, ma anche la manovalanza di cosa nostra, gli studenti sorridenti all’università e gli organizzatori di corse clandestine in viale delle Scienze. Indossando i vestiti buoni abbiamo dimenticato – o abbiamo finto di farlo, forse per autoindulgenza – che la strada per il completo riscatto della nostra terra è ancora lunga. Il riscatto dalle stragi, dalla ramificazione mafiosa che ha affamato intere fasce di popolazione, incoraggiando ignoranza e violenza, il riscatto da politici che hanno utilizzato interi quartieri come serbatoi elettorali e hanno dimenticato dei volti disperati della gente un attimo dopo.
Pensare che Palermo sia un gruppo scoordinato di 20 persone che balla su un tetto insicuro, in pieno divieto Coronavirus, sarebbe come dire che gli Stati Uniti sono un allevatore del Tennessee che odia gli indiani d’America…
Insomma un’osservazione da stupidi, riduttiva e limitante tanto quanto lo sarebbe, però, affermare che non lo è affatto. La mia bella città, così colorata, accogliente e amabile, deve necessariamente fare i conti con se stessa, con gli aperitivi fighetti in Via Libertà e la totale inosservanza delle regole di quartieri popolari convinti, forse, di essere al di sopra o al margine delle norme.
Chi, stasera, si è detto allibito, incredulo, sotto shock per le immagini del quartiere Sperone, forse non è mai uscito dai confini rassicuranti del proprio quartiere della Palermo bene, non ha mai visto come sia la vita in un basso di Ballaró, o in un monolocale della Guadagna. Non ha mai attraversato lo Zen o fatto un giro a Brancaccio. Mi aspettavo una festa sul tetto con musica napoletana, birra ghiacciata e disprezzo delle regole? No, ma, ahimè, non posso di certo dirmi sorpresa più di tanto. E non perché abbia sommessamente accettato che la mia Palermo sia così, ma perché, restando, ho deciso di cambiarla e posso farlo solo conoscendola. È facile innamorarsi di qualcuno all’inizio, ma è quando si scoprono le sue miserie e si sceglie di restare comunque che si capisce di amare. Lo stesso è, per me, Palermo.