Il nuovo porto di Palermo sta per arrivare. Il 13 ottobre si concludono i lavori avviati due anni fa dall’Autorità portuale. Acqua e giardini al posto delle officine.
Non è più il mare a lambire a est il Castellammare ma è pur sempre l’acqua a restituire l’antica linea di costa che proteggeva Palermo da invasori e predoni di tutte le risme e nazionalità. Dopo cento anni si può percepire nuovamente l’altro perimetro del “Castrum maris”: da alcuni giorni infatti è stato riempito il lago che lambirà le vecchie strutture del Castellammare, riemerse dopo intensi e certosini lavori di scavo.
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Si tratta dei lavori avviati due anni fa dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale per un importo di poco più di 21 milioni di euro. Lavori che trasformeranno completamente questo pezzo di porto, un tempo caratterizzati da decine di aziende estremamente varie che operavano in spazi angusti e disordinati. Dal 13 ottobre questo pezzo di città avrà nuova vita, sarà un “marina yacthing” che fornirà servizi a tutti i turisti che arriveranno in città. Ci saranno un convention center con teatro, ristoranti griffati, spazi per passeggiare e si potrà andare a spasso nel laghetto d’acqua dolce, con acqua riciclata di continuo, che darà l’illusione di essere a mare.
Gli ultimi ad avere la visione del Castellammare lambito dall’acqua erano stati nostri nonni e bisnonni, nel 1922, quando si decise di ampliare la zona portuale, abbattendo il Castellammare e creando nuove opportunità economiche per il porto industriale.
È stato lungo e tortuoso il processo di riappropriazione del Castellammare di Palermo. Fino a poco più di 30 anni fa conoscevamo solo la porta aragonese, trasformata in un’autofficina densa di nerume e fuliggine, e il maschio arabo, una struttura isolata e distante, salvatasi dalla demolizione degli anni ’20. A quella data risaliva la creazione del molo trapezoidale per ampliare il porto commerciale della città, desideroso di espandersi verso nuove mete. Il resto della struttura era stato demolito e annegato nella terra e nel cemento.
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Una campagna di scavi avviata dalla Soprintendenza dal 1988, sotto la reggenza di Carmela Angela Di Stefano e condotta da Rodo Santoro, aveva permesso di far emergere i baluardi di San Pietro, quello di San Giovanni e il rivellino, con le caponiere dalle quali le milizie sparavano.
Era già un bel vedere e una piacevole scoperta. E la restante parte? Che ne era della vecchia fortezza, le cui prime pietre erano state posate dagli arabi nel X secolo? La parte rimanente giaceva annegata nella terra e nel cemento, al di sotto di una confusa teoria di fabbricati industriali, depositi navali, officine. Poi è arrivata l’idea di farne un parco, il Parco del Castellammare e l’area è stata valorizzata, è diventato il nuovo luogo di aggregazione dei palermitani, con tanto di Castellammare Fest.
Adesso, l’ultimo capitolo scritto grazie ai lavori avviati dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Occidentale, presieduta da Pasqualino Monti.