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Palermo: “Macché autocombustione, ci raccontano favole”. Così il chimico su Bellolampo


Intervista al chimico Gioacchino Genchi: “Il vetro per bruciare deve raggiungere una temperatura di 200 gradi e deve fungere da lente di ingrandimento per far sì che il calore si concentri in un punto

Gioacchino Genchi

Quello a cui abbiamo assistito lo scorso 24 luglio a Bellolampo è un remake, stavolta su larga scala, dell’incendio del 29 luglio del 2012. E oggi come allora c’è chi parla di autocombustione come possibile causa. «È una boutade bella e buona di chi non vuole fare terrorismo», secondo Gioacchino Genchi, ex dirigente chimico del servizio inquinamento atmosferico al dipartimento Territorio e ambiente della Regione siciliana e dopo responsabile del servizio sicurezza alimentare al dipartimento regionale di attività sanitarie e osservatorio epidemiologico.

Perché è un’evidenza non parlare di autocombustione?

«Perché nessun materiale legnoso si accende a temperature inferiori a qualche centinaio di gradi».

Si stanno però chiedendo dei pareri ai tecnici sulla possibile autocombustione legata al vetro.

«Il vetro per bruciare deve raggiungere una temperatura di 200 gradi e inoltre, cosa di cui non si è tenuto conto nell’esprimere certi giudizi ridicoli, il vetro in questione deve fungere da lente di ingrandimento per far sì che il calore si concentri in un punto. Fortunatamente la terra non è ferma. L’autocombustione potrebbe eventualmente essere prodotta da miscele di sostanze gassose che si sviluppano nei processi di decomposizione dei rifiuti».

Diamo per scontato che a Bellolampo sia controllata la produzione di biogas.

«Sì, una corretta gestione monitora l’emissione di gas negli impianti di depurazione. E di certo gli incendi non sono partiti dalla discarica. Inoltre parliamo degli stessi giorni di luglio di undici anni fa. È evidente che non si può parlare di autocombustione: la cosa più sorprendente è che non si sia fatto tesoro dell’esperienza precedente. E continuano a raccontarci le stesse favole».

Manca la prevenzione? «Sicuramente».

Sui monitoraggi effettuati cosa pensa?

«Insufficienti. Mi chiedo che fine abbiano fatto i camper mobili con misuratori di ossidi di azoto e benzene dell’Arpa. A oggi per la discarica di Bellolampo basterebbe un controllo molto semplice: moltiplicare per i coefficienti i chilogrammi o tonnellate di rifiuti andati bruciati così da ottenere il numero di inquinanti andati in aria o caduti sul suolo. Non mi sembra si sia fatto nulla di simile».

Nel 2012 lei lavorava all’assessorato alla Sanità. Cosa si fece per fronteggiare l’emergenza? «È stato disatteso un decreto assessoriale. A marzo 2013 predisposi che si sarebbero dovute monitorare le aree limitrofe e non di Bellolampo. A oggi non c’è nessun piano di monitoraggio che sfrutti le mappe che avevamo predisposto undici anni fa. Non basta un solo campionamento fatto nell’area di Inserra. Non sono state fatte analisi su derrate alimentari, come carni e latte. Se ne parlerà la prossima settimana. Inammissibile».

Anche gli incendi boschivi sono fonte di inquinanti nell’aria?

«Certo. Ecco perché l’ordinanza del Comune di Palermo è fuori luogo. Parlare di 4 chilometri da Bellolampo è un’espressione indefinita e incerta. Quanto nel 2012 bruciò la discarica, facemmo monitoraggi per otto mesi e, quando in un campione di derrata alimentare rintracciavamo anche una minima particella di inquinante, l’area da controllare veniva allargata di altri tre chilometri. Arrivammo al Comune di Terrasini». (Fonte Repubblica).

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