Una veglia di protesta. Sabato 31 ottobre, in concomitanza con Halloween e Ognissanti, i commercianti palermitani hanno fatto la veglia funebre del lavoro e dell’economia italiana. Una sottile e macabra metafora che fa capire la disperazione dei cittadini di tutti giorni. La manifestazione si è svolta in maniera pacifica, “perché non tutti vogliamo creare disordine, ma trovare un contatto con le istituzioni”, così dicono le quasi 300 persone presenti davanti all’Ars, a Palazzo Reale. Lavoratori, ognuno di loro rappresenta un mattoncino dell’economia reale, quella che viviamo. L’aperitivo non è importante, ma affinché la cameriera si paghi gli studi universitari sì. La palestra non è importante, ma affinché il proprietario paghi gli stipendi ai personal trainer sì. Il cinema e il teatro sono secondari, ma affinché i tecnici, i costumisti e i ballerini vengano pagati con quei pochi spicci sì.
*Il racconto della protesta*
Salendo le scale di Palazzo Reale è possibile vedere circa 300 persone.
Tutte distanziate e con un’epigrafe vicino a sé sul pavimento gelido. In alto è scritto R.I.P. e immediatamente sotto il nome della attività. In quel pavimento è possibile vedere di tutto. Dalla palestra Sirius, ai famosi locali da aperitivo il Siciliano e Vespa Cafè.
Attività che ognuno di noi ha incrociato almeno una volta con lo sguardo in giro per Palermo. Alcune di loro sono esercizi commerciali che stavano decollando prima che arrivasse il Sars-Cov2. Poi nell’epigrafe è scritta la data di nascita, addirittura un’attività aveva scritto 1956, e la data di morte in tutti identica, 26 ottobre 2020. Infine viene riportato il numero dei caduti che rappresentano lavoratori veri, nostre probabili zie, sorelle, fratelli, cugini, cognati.
Una dei tanti caduti
Davanti le epigrafi dei vari commercianti ci sono dei tavoli che hanno il compito di coordinare tutto. In uno di questi è seduta Flavia, una ragazza con dei bei capelli biondi ricci. Lei da anni lavora al locale Vespa Cafè e oggi si è seduta per dare ad ogni attività la propria bara simbolica.
“La situazione è davvero difficile. Da me lavoriamo quasi in 20. Per un locale che la maggior parte del fatturato lo fa di sera è tostissima la chiusura alle 18. Noi iniziamo a lavorare a quell’orario. I proprietari stanno cercando di reinventarsi, ma ogni giorno la situazione si evolve e cambia”,
così racconta tutta di un fiato la sua voglia di trovare delle risoluzioni concrete. “ Siamo troppo pochi. È facile protestare dalla tastiera di Facebook. Se non ci mobilitiamo tutti qua non si combina nulla”. Parole dritte che avrebbero bisogno di una risposta concreta.