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Quanto vale il voto di laurea nel mercato del lavoro


Di sicuro, chi si chiede quanto è importante il voto di laurea si pone già di per sé nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato. Il problema non esiste – o esiste in misura ridotta – per chi avvia un’attività autonoma o professionale, dove risponde solo a sé stesso della propria qualificazione e perizia. Di certo, in quest’ultimo caso, la laurea può essere una garanzia, un substrato teorico da mettere in pratica, un esercizio alla pazienza (perché di pazienza, nelle nostre università, ce ne vuole parecchia!) e una consapevolezza circa la propria caparbietà. Insomma, la laurea è anche un modo per acquisire fiducia in se stessi e la convinzione di avere le doti giuste per superare scogli e sfide che il lavoro pone. Proprio al pari degli esami che bisogna sostenere nel corso di laurea.

In questo articolo cercheremo di capire quanto è importante il voto di laurea per chi cerca lavoro, sia nella pubblica amministrazione che nel comparto privato. Vedremo quanto peso danno al voto i bandi pubblici e quanto invece le aziende sono interessate a un curriculum blasonato. 

Quanto è importante il voto di laurea nei concorsi pubblici

La nostra Costituzione stabilisce un principio inderogabile: quello secondo cui ai posti della pubblica amministrazione si accede solo e unicamente attraverso pubblici concorsi. I concorsi vengono regolati da bandi ed, in essi, sono fissati i requisiti di partecipazione, i criteri di valutazione dei candidati e le modalità di calcolo del punteggio. Il tutto nell’ottica della massima trasparenza cui la P.A. deve sempre attenersi. 

Quasi tutti i bandi per pubblici concorsi attribuiscono un punteggio alla laurea e al voto conseguito dallo studente; oppure si limitano a richiedere un voto minimo di laurea per la partecipazione alle selezioni. Sicuramente il peso maggiore, nella valutazione dei candidati ai posti di pubblici dipendenti, lo ha la corretta esecuzione delle prove scritte ed orali, che tuttavia si basano spesso su argomenti già trattati nei corsi universitari. Sicché chi ha frequentato con profitto un ateneo è doppiamente avvantaggiato. 

Dinanzi alle contestazioni di alcuni candidati che avevano ritenuto discriminatorio un bando ove era richiesto, come condizione per la partecipazione, un voto minimo di laurea (105/110), il Tar del Lazio ha ritenuto, proprio di recente, legittima tale condizione. Si tratta infatti di un «ragionevole indice di preparazione dei candidati», specie quando si tratta di posizioni di particolare responsabilità. Si tenga conto che sempre la nostra Costituzione impone alla pubblica amministrazione di agire nel modo più efficiente possibile, e l’efficienza passa solo per la qualificazione dei dipendenti. Non potendosi però prevedere il futuro di un lavoratore, è necessario guardare il passato dei candidati e quindi gli studi che questi hanno compiuto e il grado di profitto in essi dimostrato.

La sentenza del TAR

Secondo il Tar Lazio, a livello generale il voto minimo di laurea costituisce un idoneo indice selettivo attestante un determinato livello di preparazione dei candidati. Stando a queste parole, sembrerebbe che il requisito del voto minimo, come condizione di accesso al concorso, sia legittimo solo laddove si tratti di posti di “esperti” o comunque con un notevole carico di responsabilità (si pensi, ad esempio, ai dirigenti dell’Agenzia delle Entrate). Tale requisito risponde infatti allo scopo di individuare in via preventiva soggetti che assicurino un determinato grado di preparazione

È stato soppresso il requisito del voto di laurea da tutti i concorsi?

Si è detto da più parti che il voto di laurea sarebbe stato soppresso come requisito nei pubblici concorsi. Si tratta in realtà di una mezza verità. Una legge del 2015 reca la delega al Governo ad adottare decreti di semplificazione anche in materia di lavoro alle dipendenze della P.A. e individua come criteri direttivi la «soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni». Tuttavia tale disposizione si riferisce solo al pubblico impiego privatizzato. Attualmente, vale ancora il requisito del voto minimo di laurea.

Quanto è importante il voto di laurea nella ricerca di un lavoro privato?

Veniamo invece al lavoro privato. Qui chiaramente le aziende non hanno alcun vincolo di legge e possono orientarsi come meglio credono. Possono cioè stabilire di prendere in considerazione solo i curricula con un voto di laurea non inferiore a una soglia prefissata così come non imporre alcuno sbarramento. In alcune proposte di lavoro si legge chiaramente la richiesta, come requisito minimo, di un titolo di laurea specifico. Si pensi, ad esempio, alle varie offerte di assunzione da parte delle banche. In numerosi altri casi è richiesto un voto di laurea di almeno 105/110. Raramente è richiesta la laurea con il massimo dei voti.

Di sicuro il forte afflusso alle università che si è registrato negli ultimi 30 anni ha portato una sorta di inflazione nell’acquisizione dei titoli. A questa inflazione le aziende hanno risposto con selezioni ancora più rigorose; per cui, se anche il titolo di laurea resta spesso un requisito minimo per la considerazione delle candidature, di esso non ci si accontenta più e si richiede anche un voto superiore a una predeterminata soglia. 

Il tutto ovviamente va sempre rapportato al posto che si intende ricoprire. Se, ad esempio, si discute di un posto di segretaria si valuteranno altre qualità rispetto ai titoli, qualità di natura pratico-organizzativa. E così rileverà la sveltezza nell’uso dei computer, le capacità dattilografiche, le esperienze nella gestione dei clienti e delle pratiche, la conoscenza delle lingue, le capacità di relazioni con il pubblico, ecc.: tutte doti che poco hanno a che fare con i corsi di laurea. 

La laurea è un ostacolo per trovare lavoro?

In alcuni casi il voto di laurea può essere un ostacolo nel trovare un lavoro? Anche se può sembrare un paradosso, può succedere che determinati posti siano riservati proprio a chi non ha un titolo. E difatti, alcuni contratti collettivi di lavoro prevedono una retribuzione superiore per chi ha determinate qualifiche scolastiche e di studi: sicché assumere una persona priva di tali referenze può essere anche più economico. Di certo si tratta di posizioni prive di responsabilità le cui mansioni sono, in particolar modo, manuali. 

Quanto conta la laurea oggi?

Resta quindi il fatto che chi vuol fare carriera deve puntare innanzitutto sulla propria formazione, sugli studi e sulle capacità mentali che essi inevitabilmente comportano. Perché, nonostante tutte le critiche che si vogliano muovere contro le nostre università, contro i docenti e contro metodi di studio spesso arretrati, teorici e poco contestualizzati nel mondo moderno, resta pur sempre il fatto che spendere quattro anni sui libri è di certo un grosso esercizio per l’intelletto e la memoria.

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