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Rapporto RES 2015: L’università italiana “rimpicciolisce” soprattutto al Sud


L’Italia non investe sull’Università.

Per la prima volta nella sua storia, negli ultimi anni il sistema universitario italiano è diventato significativamente più piccolo di circa un quinto. Rispetto al momento di massima espansione (2008), oggi gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66 mila (-20%); i docenti sono scesi a meno di 52 mila (-17%); il personale tecnico amministrativo a 59 mila (-18%); i corsi di studio a 4.628 (-18%); il fondo di finanziamento ordinario delle università è diminuito, in termini reali, del 22,5%.

L’Italia ha dunque compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università. Si tratta di una trasformazione opposta a quelle in corso in tutti paesi avanzati. Anche l’obiettivo Europeo di raggiungere, al 2020, il 40% di giovani laureati sembra decisamente fuori dalla nostra portata: l’Italia è con il 23,9% all’ultimo posto fra i 28 stati membri.

Sud, tendenze negative più marcate. Le tendenze negative sono assai più intense per gli atenei del Centro-Sud, con punte particolarmente drammatiche nelle Isole. «Si va disegnando – si legge nel Rapporto – un sistema formativo sempre più differenziato fra sedi più e meno dotate (in termini finanziari, di docenti, di studenti, di relazioni con l’esterno), con le prime fortemente concentrate in alcune aree del Nord del paese. Le nuove regole di governo del sistema stanno accentuando questa biforcazione».

Oltre il 50% del calo degli immatricolati è concentrato nel Mezzogiorno (-37.000 dal 2003-04 al 2014-15); maggiore è la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5% al Sud, contro il 12,6% al Nord e il 15,1% al Centro). Inoltre, il tempo medio di completamento di un corso triennale è 5,5 anni al Centro e al Sud, e 4,5 al Nord. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata del 18,3% nel Mezzogiorno, a fronte dell’11,3% al Nord e del 21,8% nelle università del Centro.

Crescita degli studenti che si iscrivono nel centro-nord. Sicilia: un terzo degli studenti “emigra”. La mobilità studentesca può essere un fenomeno positivo: rappresenta un’esperienza di vita indipendente, consente la scelta del corso di studio più adatto. Il drammatico problema dell’Italia è che questa mobilità è a senso unico, da Sud verso Nord. Il 30% degli immatricolati meridionali si iscrivono nelle Università del Centro Nord. In Sicilia ormai quasi un terzo degli immatricolati “emigra” a fronte di meno di un sesto nel 2003-04.

Diritto allo studio e servizi agli studenti: poche borse di studio nel Sud e nelle Isole. Alla base di questi trasferimenti vi sono diverse motivazioni, fra le quali la ricerca di un corso di studio con maggiori opportunità di inserimento nel mercato del lavoro fuori dalla Sicilia e dal Mezzogiorno. Influisce anche la scarsa disponibilità di borse di studio e di servizi per gli studenti nelle regioni meridionali. Nel 2013-14, nelle regioni del Sud continentale circa il 40% degli idonei non riesce a beneficiare della borsa per carenza di risorse; la percentuale arrivava al 60% nelle Isole. Il meccanismo di finanziamento del diritto allo studio non è evidentemente in grado di garantire il diritto all’istruzione dei “capaci e meritevoli anche se privi di mezzi” (art. 34 della Costituzione) e finisce per sostenere meno gli studenti delle famiglie disagiate del Mezzogiorno anche per responsabilità delle regioni.

Il finanziamento del sistema universitario. I meno di 7 miliardi del fondo di finanziamento ordinario delle università italiani vanno comparati agli oltre 26 della Germania. Il fondo, in forte contrazione, è stato ripartito in modo assai diverso in questi ultimi anni con effetti che aggravano la situazione di molti atenei soprattutto meridionali (con tagli per le università del del Sud di circa il 12% e soprattutto per quelle delle Isole, il cui finanziamento si è ridotto di oltre un quinto).

Qualità della ricerca e trasferimento tecnologico. La qualità della ricerca è molto differenziata a seconda delle aree scientifiche e disciplinari. Tutti gli atenei meridionali presentano valori inferiori alla media nazionale. Alla recente Abilitazione scientifica nazionale solo 6 atenei su 26 del Mezzogiorno hanno avuto una percentuale di idonei superiore alla media nazionale (il 23%) a fronte dell’80% degli atenei del Nord. Per quanto riguarda il trasferimento tecnologico, sono più bassi i valori delle attività in conto terzi, i brevetti registrati e gli spinoff.

Che fare? Dalla ricerca emerge un quadro variegato di responsabilità che contribuiscono a spiegare l’apertura di questo “nuovo divario” che riguarda l’Università e che rischia di pesare sempre di più in prospettiva sulle possibilità di sviluppo. Le politiche per il diritto allo studio e i servizi agli studenti gestiti dalla regioni e dallo stato centrale penalizzano maggiormente gli studenti del Mezzogiorno provenienti da famiglie meno abbienti. Ma le inefficienze riscontrate nell’offerta didattica, nella qualità della ricerca e nella qualificazione del personale docente chiamano chiaramente in causa anche il modo in cui sono stati gestiti gli atenei del Mezzogiorno. I cambiamenti recenti nei meccanismi di finanziamento degli atenei aumentando fino al 20% la quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca tendono paradossalmente ad aggravare il quadro perché penalizzano le università del Mezzogiorno per la loro inefficienza senza spingerle realmente su un sentiero di miglioramento e di maggiore responsabilizzazione.

Nel Rapporto si evidenzia come la via di uscita dalla spirale perversa vada cercata piuttosto in interventi che separino i meccanismi di finanziamento ordinari degli atenei dai problemi di recupero delle condizioni di efficienza, che possono essere invece considerati come un obiettivo di specifiche politiche di sviluppo e coesione, e come tali possono quindi attingere alle risorse nazionali ed europee destinate a questi interventi. Si pensi al miglioramento delle competenze degli studenti in entrata, alle borse di studio e ai servizi, ma anche al rafforzamento delle attrezzature e delle risorse per la ricerca scientifica.

Ma naturalmente affinché questi interventi possano essere efficaci, è necessario collegarli a condizionalità ben disegnate e a strumenti di valutazione adeguati dei risultati raggiunti, ed è soprattutto necessario che cresca la consapevolezza di chi opera nelle università e di chi ha compiti di direzione, che l’autonomia senza responsabilità non ha futuro.

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A proposito dell'autore

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1 risposta

  1. rita

    Chi ci entra e con quali intenzioni? Stop colletti bianchi. Controlli preventivi su chi facciamo laureare? Questi sono test d’ingresso salvifici.