Il Reddito di cittadinanza, così com’è oggi, è ormai destinato a cambiare. Il motivo? I suoi aumentati costi, per non dire “esplosi”, durante la pandemia.
Reddito di cittadinanza: i costi e i limiti
Con l’emergenza sanitaria, e le sue inevitabili conseguenze economiche, sono infatti cresciute le famiglie in difficoltà che hanno richiesto il relativo sussidio. Se tre anni fa lo Stato spendeva 433 milioni di euro al mese, l’anno successivo ha dovuto sborsare 595 milioni, fino a salire a 722 milioni quest’anno. A tirare le somme ci ha pensato il premier Draghi, il quale difende l’esistenza del Reddito di cittadinanza, soprattutto riguardo l’obiettivo di ridurre la disoccupazione, pur riconoscendone tuttavia i limiti.
Gli squilibri evidenziati
A fine mese è prevista la relazione finale della commissione guidata dalla sociologa Chiara Saraceno, che sta analizzando il Reddito e i suoi “inceppati” meccanismi. Dopo di che, il governo tende all’approvazione di una riforma che renda il sussidio più sostenibile per le casse dello Stato, e possibilmente più equo. Le associazioni del Terzo settore, infatti, denunciano il fenomeno secondo cui le famiglie più numerose e del Nord sono spesso penalizzate, mentre i nuclei familiari più piccoli e del Sud ricevono sostanzialmente lo stesso assegno, a fronte di un costo della vita inevitabilmente diverso.
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Le nuove riforme
La nuova strategia del governo punta ad una riforma drastica. Innanzitutto, si prevede la distinzione tra chi riceve il sussidio per esigenze economiche e chi invece per disoccupazione. Nel mirino, infatti, ci sono soprattutto i percettori del Reddito occupabili (circa un milione di persone), che finora hanno rischiato di perdere il sussidio dopo tre offerte di lavoro rifiutate. L’idea è di tagliare parte dell’assegno già al primo rifiuto, che non sarà più necessariamente per un lavoro da minimo tre mesi, ma potrà passare a due mesi.
Reddito e formazione
La Caritas ha invece evidenziato come circa tre quarti dei percettori del Reddito non sia impiegabile nel mondo del lavoro a causa della scarsa formazione scolastica. Il 7%, ad esempio, non ha neanche la licenza elementare. Perciò, altro punto centrale della riforma sarà la formazione, finanziata attraverso il progetto Gol finanziato dal Recovery plan: chi rifiuterà anche di seguire dei corsi di riqualificazione proposti dai centri per l’impiego potrà perdere gradualmente una parte dell’assegno.