100 anni fa nasceva Leonardo Sciascia, a Racalmuto, sotto il sole cocente della Sicilia. Oggi, ironia del destino, in Sicilia approda tale Matteo Salvini, rappresentante di quelle sacre istituzioni repubblicane che sono care a tutte le donne e gli uomini liberi.
Sciascia ha lasciato all’intera umanità alcune delle pagine più belle della letteratura moderna, graffiante e romantico, con sguardo lucido, disincantato e profondamente innamorato della sua terra. Ne amava anche le miserie, di quell’amore maturo che non teme giudizio, che non ha paura di urlare e di sussurrare, se è il caso, che ci sono uomini, mezzi uomini e ominicchi. Ominicchi, già, come il secondo soggetto che abbiamo già nominato, purtroppo.
Quel Matteo Salvini del Papete e del Mojito, ahimè. Ominicchio, dicevamo, di quelli che “calati junco ca passa la china”, che la spina dorsale forse l’hanno vista solo nei libri di scuola (alle elementari perché dopo non credo ci siano andati), che svenderebbero qualunque cosa pur di strappare un like.
A tutto c’è un limite? Forse no. Perché solo chi non conosce limiti, chi non sa cosa sia la vergogna può presentarsi in Sicilia, dove ancora brucia il sangue dei morti ammazzati dalla mafia, con la mascherina griffata dal viso del Giudice Paolo Borselliino. “Cosa direbbe Sciascia?”, me lo chiedo ogni volta che la mia coscienza viene scossa e vibra di una rabbia atavica tutta siciliana. E vorrei davvero riuscire a pensare e parlare come lui, per esprimere sgomento, tristezza, disillusione e speranza…magari davanti a cotanta pochezza anche lui resterebbe in silenzio, nella tradizione tutta sicula per cui la miglior parola è quella che non si dice. Ma tant’è per questa volta la diciamo, OMINICCHIO.