C’è una scena che si ripete puntualmente nella commedia siciliana. No, non quella del sole che sorge dietro l’Etna, o del mare che accarezza le coste.
Sto parlando di un’altra pièce teatrale: quella che vede i nostri amati deputati regionali, maestri della spartizione, intenti a distribuire fondi pubblici come fossero pagnotte nel giorno di festa. Ma attenzione, le pagnotte non finiscono mai nella mani di chi si sveglia alle cinque del mattino per lavorare, di chi fatica a pagare le tasse universitarie dei figli, o di chi stringe la cintura sempre più stretta per arrivare a fine mese. No, quelle pagnotte sono già state etichettate, imburrate e incartate per amici e parenti, con tanto di dedica personalizzata.
La realtà di questo teatrino, ahinoi, è venuta alla luce grazie alla segnalazione del deputato regionale Ismaele La Vardera, un volto noto per le sue inchieste quando era parte de “Le Iene”. Ed è proprio grazie a questa denuncia che si è aperto uno squarcio su quel sistema malato che molti conoscono, ma pochi hanno il coraggio di denunciare. Una testimonianza, la sua, che ci ricorda quanto il clientelismo e il favoritismo siano radicati come erbacce nel cuore delle nostre istituzioni.
Perché sorprendersi? Del resto, qui la meritocrazia è un miraggio e le liste di beneficiari sembrano essere scritte sul taccuino del “Compari e Parenti”. Ci siamo forse dimenticati della vecchia barzelletta che gira da decenni: «Se vuoi far carriera in Sicilia, devi avere un santo in paradiso». Ah, ma di quale paradiso parliamo? Del paradiso degli eletti, quelli con una poltrona e una penna in mano per firmare delibere, favori e concessioni che odorano di familismo e clientelismo. E tutti noi, a guardare in silenzio.
Intanto, c’è una mamma che prepara la colazione ai suoi figli con le lacrime agli occhi perché sa che, anche quest’anno, il prezzo dei libri di scuola è aumentato. C’è un papà che non ha mai visto una busta paga crescere, se non per un misero arrotondamento. Ci sono studenti che vorrebbero studiare, crescere, partire. O magari restare, ma senza dover rinunciare alla dignità. Ma loro, quei deputati, non hanno di questi problemi. Loro distribuiscono sorrisi e denaro (nostro, va ricordato) come si distribuiscono caramelle: ma solo agli amici giusti.
Il peggio? Siamo diventati avvezzi a tutto questo. Ci scandalizziamo meno di quanto dovremmo. Assistiamo passivi mentre la politica si fa teatro dell’assurdo, dove chi dovrebbe servire la gente si serve da solo. C’è chi ride, chi sbuffa, chi alza le spalle con rassegnazione. È più facile non far nulla, in fondo. È più semplice ingoiare il rospo e pensare che, dopotutto, “è sempre stato così”. Ma è proprio questa assuefazione a doverci far tremare.
Le cose non cambieranno fino a quando lasceremo che certi personaggi siedano indisturbati sulle loro poltrone dorate. Fino a quando la rabbia, quella vera, non si trasformerà in azione. Fino a quando non smetteremo di accettare la narrazione dei “favori” come se fosse una parte naturale del nostro DNA sociale. La Sicilia merita di meglio. Noi meritiamo di meglio. Ma, per ottenere quel “meglio”, dobbiamo anche alzare la voce e rifiutare, una volta per tutte, il banchetto degli eletti, riservato ai pochi eletti.
Ecco il nostro compito: rompere le catene dell’indifferenza e pretendere che la politica torni a essere il luogo in cui si pensa al bene di tutti. Perché non vogliamo più santi, ma deputati veri. Non vogliamo più favori, ma giustizia.
E se oggi questa realtà è venuta alla luce, il merito va a chi, come Ismaele La Vardera, ha avuto il coraggio di sollevare il velo e denunciare ciò che si consuma nelle stanze dorate del potere.
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