I siti siciliani selezionati come idonei lo sono “con riserva”, ma l’isola ha già ospitato rifiuti radioattivi, e persino un reattore nucleare ad oggi attivo. Cosa verrà stoccato nel “cimitero nucleare”, che caratteristiche avrà, e perchè ci si potrà opporre con la “consultazione pubblica” che durerà due mesi
La Sicilia, insieme ad altre sei regioni (Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna), è stata individuata come territorio potenzialmente idoneo alla costruzione di un “cimitero nucleare” in cui seppellire in sicurezza le scorie radioattive presenti (anche da decenni) in Italia, provenienti dalle quattro centrali nucleari e dalla decina di impianti in disuso. I siti indicati, per la Sicilia, sono quattro, nelle province di Trapani, Palermo e Caltanissetta. L’annuncio è arrivato a inizio Gennaio.
Scontato, il grido di protesta di politici e società civile: oltre ai comunicati stampa e alle manifestazioni, le perplessità e le contrarietà potranno essere sollevate nella consultazione pubblica iniziata e che durerà 60 giorni: il momento di partecipazione civica è finalizzato a coinvolgere i soggetti portatori di interessi qualificati nel processo di localizzazione del “Deposito Nazionale” e “Parco Tecnologico”.
Come stanno le cose? Il 30 dicembre la Sogin, la società pubblica di gestione del nucleare, ha pubblicato la Cnapi, infelice acrononimo di “Carta nazionale delle aree più idonee“, e ne ha selezionate 67 su tutto il territorio nazionale, suddividendole per colori: in una di quelle, sarà (forse) costruito, con un miliardo e mezzo di euro, il il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Su una di quelle sorgerà il sito di stoccaggio nucleare.
La buona notizia, per la Sicilia, è che i siti siciliani (Trapani, Calatafimi-Segesta, Castellana Sicula, Petralia Sottana, Butera) sono idonei ma “con riserva”, nel senso che ce ne sono almeno una quarantina, in tutta la penisola, ritenuti migliori. Ai luoghi identificati è stata data una colorazione, da verde scuro a giallo, a seconda dell’idoneità. Quelli siciliani sono in coda, contrassegnati dal colore celeste, mentre i migliori, 12, si troverebbero in Piemonte (due a Torino e cinque ad Alessandria) e in Lazio (cinque a Viterbo)
Quella cattiva è che, anche senza il “deposito nazionale” (così si chiamerà), nell’isola sono già presenti dei rifiuti radioattivi, e persino un reattore nucleare. Il deposito, gestito dalla Sicurad di Palermo, è stato attivo fino al 2010, anno in cui l’autorizzazione di deposito è stata revocata. Fino ad allora, ha funzionato nell’attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti radioattivi di natura essenzialmente (ma non solo) medica. Fino al 2018, ha continuato a raccogliere rifiuti radioattivi che poi vengono trasportati, nell’ambito del servizio integrato dell’Enea, presso il centro della Nucleco di Roma.
Non solo: a Palermo è presente anche un reattore nucleare, l’Agn-201 “Costanza”, uno dei quattro italiani, che si trova al dipartimento di Ingegneria nucleare dell’università di Palermo, e viene utilizzato prevalentemente per attività didattica e irraggiamenti e produzione di radionuclidi a vita breve per la calibrazione degli strumenti di misura. In passato, veniva utilizzato anche per ricerche scientifiche sul comportamento del “nocciolo”. Non sono presenti rifiuti radioattivi di produzione del reattore.
Cosa finirà nel cimitero nucleare, dovunque esso sia costruito? Rifiuti radioattivi a media e bassa attività, quelli cioè che si producono ogni giorno con oggetti di comune utilizzo: reagenti farmaceutici, mezzi radiodiagnostici e terapie nucleari dagli ospedali, radiografie industriali, guanti e le tute dei tecnici ospedalieri, il torio luminescente dei vecchi quadranti degli orologi, antenne di parafulmini. Sono i resti di attività nucleare che in un periodo massimo di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l’uomo e per l’ambiente.
Assieme a questi, però, saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni e che, per essere sistemati definitivamente, richiedono la disponibilità di un deposito geologico.
La Sogin ha messo online anche un sito che identifica i luoghi idonei (che non funziona, non il migliore degli auspici per una società che deve costruire un cimitero per le scorie radioattive). All’interno, si spiegano, con un video, i criteri per la scelta (e quelli per l’esclusione) dei siti, quindici ciascuno: luoghi poco abitati, con una sismicità modesta, senza vulcani né rischi di frane e alluvioni. Non a quote troppo elevate (non oltre i 700 metri sul livello del mare), non su pendenze eccessive, non troppo vicine al mare, non molto vicine a autostrade e ferrovie, e assenza di “produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico”: criterio, questo, che tenderebbe a far escludere i siti siciliani (ma praticamente qualsiasi altro sito in Italia.
La scheda degli impianti nucleari italiani
Il reattore nucleare Agn-201 “Costanza” di Palermo
Forse non tutti sanno che a Palermo esiste un reattore nucleare. Piccolo, ma esiste. È ubicato vicino all’edificio del Dipartimento di Ingegneria Nucleare, nell’ex Parco d’Orleans.
Di “potenza zero”, può erogare una potenza di 5-20 watt per otto ore, con un intervallo di spegnimento pari a 16, per cinque giorni la settimana. Non può rilasciare energia superiore a 40 Wh in due ore consecutive e non deve superare 200 watt. Deve il suo nome a due elementi: il primo, molto divertente, motivato dal fatto che fu necessaria molta costanza per seguire l’iter burocratico legato alla costruzione; l’altro da intendere come omaggio a Costanza d’Altavilla. Gli scopi per i quali fu costruito dalla ditta americana Aerojet General Nucleonics possono essere così sintetizzati:
1) Attività didattiche per gli studiosi di Ingegneria Nucleare ( italiani e non) e per gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori.
2) Produzione di radioisotopi a breve vita.
3) Esperimenti di Misure Neutroniche.
4) Prove di irraggiamento di numerosi materiali.
Il sistema è formato da due parti: il reattore e l’unità di controllo. Il core del reattore è un cilindro retto (base 25,7 cm e altezza 24,13 cm) costituito da nove dischi, a loro volta composti da polietilene e polvere di biossido di uranio. È diviso in due settori (inferiore e superiore) da un disco di alluminio. Nella parte superiore sono presenti cinque dischi, nell’altra quattro. I dischi hanno dei fori, necessari per l’introduzione di barre di sicurezza. Tralasciando altri particolari tecnici che potrebbero non interessare i lettori, desidero richiamare l’attenzione proprio sui sistemi di sicurezza. Anzitutto, a tal proposito, occorre precisare che la potenza erogata è così modesta da non rendere necessario il sistema di refrigerazione che è perennemente racchiuso all’interno della core tank (un recipiente di alluminio a tenuta di gas). In secondo luogo, l’intero impianto è circondato da calcestruzzo armato con griglie di tondino di acciaio, con pareti di ben 25 cm di spessore. Inoltre, il coefficiente di temperatura della reattività è negativo, cioè un aumento della temperatura stessa provoca lo spegnimento automatico del reattore, anche in assenza di controllo e di altri sistemi di sicurezza. Queste caratteristiche fanno sì che il sistema sia intrinsecamente sicuro. L’arresto automatico del reattore è provocato dai seguenti fattori:
1) Abbassamento di acqua borata in uno dei costituenti.
2) Mancanza di tensione nella rete.
3) Interruzione di collegamento elettrico nei circuiti.
4) Temperatura del reattore al di sotto del limite prefissato(16°).
5) Cattivo funzionamento di una qualsiasi parte elettrica.
6) Terremoti ( con superamento di un’accelerazione orizzontale di 0,05 g).
7) Intensità di dose gamma superiore al limite prestabilito.
8) Intensità d dose neutronica superiore al limite prestabilito.
Infine, è prevista la cosiddetta difesa estrema. In sintesi, se si dovesse verificare un aumento imprevisto ed esagerato di reattività, interviene il fusibile nucleare o core fuse. Si tratta di una pasticca di polistirene (con alta concentrazione dell’isotopo 235 dell’uranio) che sostiene la metà inferiore del nocciolo. In condizione di pericolo, il calore riesce a fondere il fusibile e la metà del nocciolo cade. In tal modo non esiste più la massa critica.
Tali note per tranquillizzare del tutto circa possibili danni agli esseri viventi e all’ambiente naturale. (Prof. Giuseppe Pitrone)