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“Stato ma dove minchia sei?”


E’ questa la domanda che viene in mente facendo un giro per i quartieri più poveri delle nostre città. In questo caso ci troviamo a Palermo, allo Zen Due. Intervenire nei quartieri popolari non significa solo estirpare le male radici, ma anche intervenire culturalmente con aiuti concreti. Qual è la risposta educativa?

“Allo Zen due di Palermo cerchiamo di contrastare la povertà non solo economica, ma anche culturale giorno per giorno”-

dice Mariangela Di Gangi, presidente dell’associazione Laboratorio Zen, in diretta sul tema “Le altre strade”- “Il disagio esisteva già prima della pandemia, ennesima batosta che pesa sempre sulle spalle dei più deboli. L’abbandono dei quartieri popolari è un problema non solo palermitano, ma anche catanese, in generale è un fenomeno che riguarda il Sud Italia.”

“Lo Stato è quasi assente in certe zone ridotte al degrado di Palermo, non basta la repressione violenta rispetto a comportamenti illeciti, serve agire per reindirizzare questi ragazzini, spesso vittime del gioco di forza causato dagli innominabili.”

“Non si può sempre puntare il dito contro i ragazzi, non è colpa loro” sottolinea Laura Di Stefano, giornalista di Live Sicilia, durante il dibattito virtuale.

“Allo Zen le forze di polizia intervengono in parte: una volta all’anno o poco più, organizzano un grande e pomposo blitz, muniti di camionette e manette, e poi basta. Accade allo zen ma anche a Catania, che si tratti di Librino, San Cristoforo, San Giovanni Galermo, poco cambia. Dove lavoro c’è una caserma e una scuola, non ricordo altri punti di riferimento”- dice Mariangela Di Gangi.

Ho scelto io di lavorare allo Zen, l’ho voluto io per toccare con mano ciò che accade lì. Chi vi abita crede che lì tutto sia in vendita, il quartiere è abituato a questo trattamento.

Ad esempio fino a qualche anno fa c’era una discarica a cielo aperto nel quartiere, da tempo avevamo progettato la creazione di un campetto da calcio, finalmente ci siamo riusciti! Ora il campo è curatissimo in quanto luogo di incontro sano.”

“Spesso l’assenza di strumenti culturali porta a chiedere come favore ciò che è in realtà un diritto, nella migliore delle ipotesi viene richiesto consenso elettorale”

– continua Mariangela- “ Noi siamo riusciti a cambiare le carte in tavola, molti sono stati contagiati dal nostro operato. Offriamo oggi strumenti burocratici per comprendere meglio la cittadinanza e la realtà abitativa. Mi sento fortunata a poter operare lì, entrare in contatto con il ragazzino di quartiere mi rende felice. Sono grata di poter abbassare la saracinesca ogni sera allo Zen di Palermo.”

“Noi volontari dobbiamo dimostrare che c’è la possibilità di poter cambiare, l’identità non deve diventare motivo di esclusione.”

Gli educatori, gli amministratori, la società civile tutta dovrebbe davvero interrogarsi e attuare una presa di ocscienza seria, sulla responsabilità che ognuno ha di far qualcosa per combattere il delegrado e la deliquenza, in questi quartieri così abbandonati. Il crimine dilaga laddove c’è assenza di altri punti di riferimento. E questo non possiamo più permetterlo.


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