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Strage di Via D’Amelio, Emanuela Loi: la storia dell’angelo di Borsellino


Domani ricorre l’anniversario della Strage di Via D’Amelio. Il 19 luglio 1992, a perdere la vita insieme al giudice Paolo Borsellino anche gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli. Insieme a loro, anche la giovanissima Emanuela Loi, la prima donna poliziotto a morire in servizio, dilaniata dall’attentato di 29 anni fa.

Emanuela Loi: la vita

Emanuela nasce a Cagliari il 9 Ottobre 1967. Originaria di Sestu, dopo aver conseguito il diploma magistrale, il suo sogno è quello di diventare maestra. Ma poi la vita, per qualche inspiegabile ragione, prende il suo corso e la ragazza, seguendo l’esempio e il consiglio della sorella maggiore, tenta insieme a lei il concorso in polizia, superandolo a pieni voti. È il 1989 quando Emanuele entra a far parte della Polizia di Stato, frequentando il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di San Giovanni, a Trieste. Due anni più tardi, il suo trasferimento a Palermo.

Gli incarichi nella Palermo martoriata

Tra i primi incarichi affidatole a Palermo, i piantonamenti a Villa Pajno a casa dell’onorevole Sergio Mattarella, dopo la morte del fratello Piersanti, la scorta alla senatrice Pina Maisano Grassi e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Palermo dei primi anni ’90 è una città difficile, martoriata da attentanti e sangue sulle strade. I clan mafiosi che si fanno la guerra e Cosa Nostra che fa la lotta allo Stato. Così, oltre alla malinconia causata dalla distanza dalla sua amata terra, si aggiunge la paura, quella che però mai Emanuela trasmise ai suoi familiari.


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La scorta al giudice Borsellino

Nel Giugno del 1992, un mese dopo la strage di Capaci in cui morirono il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, Emanuela viene affidata al magistrato Paolo Borsellino. “E lei dovrebbe difendere me? Dovrei essere io a difendere lei”, queste le parole pronunciate da Borsellino alla vista di quella ragazza così giovane ed esile, con quella chioma bionda schiacciata dal cappello della sua divisa.

Il coraggio di Emanuela

Emanuela sa di rischiare la vita per quell’incarico, molto più pericoloso dei precedenti. Tutti sanno che il giudice Borsellino è solo il prossimo obiettivo di Cosa Nostra. “Un morto che cammina”, come spesso lui stesso si definiva. Ma a darle coraggio è il pensiero di fare scrupolosamente il suo lavoro, e di ritornare poi nella sua Sardegna, dove avrebbe incoronato il suo sogno di sposarsi. Ma Emanuela non avrà il tempo.

L’attentato

Alle 16.58 del 19 luglio 1992, al civico 21 di via D’Amelio, dove il giudice si era recato per un saluto all’anziana madre, una Fiat 126, contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo, viene fatta esplodere dilaniando i corpi di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta. Emanuela avrà il triste primato di prima donna poliziotto a morire in servizio.

In memoria di Emanuela

Dalla sua morte, la sorella Maria Claudia tiene vivo il suo ricordo nelle scuole, anche grazie all’associazione contro le mafie Libera. E proprio alcune scuole le sono state intitolate, da Genova a Palermo, riuscendo ad incoronare un po’ quello che era il suo sogno. A lei dedicate anche vie e piazze in tutta Italia, e la Medaglia d’oro al valor civile per la dedizione e il coraggio espressi nel servizio, fino al sacrificio della propria vita.

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A proposito dell'autore

Laureata in Giurisprudenza a Palermo con una tesi di diritto penale, non ho mai abbandonato la mia passione per la scrittura. Curiosa ed ambiziosa, cerco di rinnovarmi continuamente.