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Trent’anni fa cominciò a Palermo la rivolta contro la mafia del pizzo


Trent’anni fa cominciò a Palermo la rivolta contro la mafia del pizzo.

Il Giornale di Sicilia del 9 gennaio 1981 pubblicò la lettera dell’imprenditore Libero Grassi al “geometra Anzalone” che gli aveva chiesto di “mettersi a posto” pagando 50 milioni.

La risposta di Grassi al “caro estortore” era una sfida.

“Volevo avvertire il nostro ignoto estortore – scriveva l’imprenditore – di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.

Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui”. 

Grassi si espose alla vendetta mafiosa in perfetta solitudine. Gli mancò anche il sostegno della Confindustria siciliana. E il 29 agosto 1991 avrebbe pagato con la vita quel rifiuto coraggioso: un killer lo uccise in un agguato vicino casa. 

La mafia credeva in quel modo di lanciare un chiaro messaggio intimidatorio ma la lezione civile di Grassi, ricostruita dal Giornale di Sicilia che dedica oggi due pagine all’anniversario, aprì una nuova stagione e fece tanti proseliti.

I commercianti di Capo d’Orlando, guidati da Tano Grasso, furono i primi a costituire un’associazione anti-racket. Poi un gruppo di giovani a Palermo promosse il movimento “Addio pizzo”.

Le estorsioni non sarebbero finite ma i boss si trovarono di fronte a reazioni inaspettate: a fianco delle vittime, osserva il procuratore Francesco Lo Voi, ora c’era anche lo Stato. 

Quel rifiuto era diventato per molti un modello di coerenza civile. “Mio padre – dice la figlia Alice – dovette scegliere di mettere in campo un’azione così plateale nel tentativo di scuotere le coscienze. Di questi tempi chi voglia denunciare il pizzo lo può fare in sicurezza, senza rischiare, assistito dalle associazioni. Se questo è accaduto è anche merito suo”. 

A raccogliere e promuovere la lezione di Libero Grassi fu subito la moglie Pina Maisano, scomparsa nel 2016, che con il marito aveva diviso la scelta radicale della ribellione.

Le parole del Premier Conte

“Quella di oggi, per l’intera comunità nazionale, è una ricorrenza da rimarcare.

Il 10 gennaio 1991 l’imprenditore Libero Grassi, con una lettera rilanciata dal Giornale di Sicilia, sfidò apertamente la mafia, denunciando le richieste estorsive e il ricatto criminale”.

Lo scrive il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in un post su Facebook dove riporta il testo della lettera con cui Grassi si rifiutò di pagare il cosiddetto “pizzo”, “Di lì a qualche mese – ricorda il premier – , il 29 agosto 1991, la mafia si vendicò con un agguato. Libero Grassi fu assassinato con quattro colpi di pistola”.


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