Universitari che insegnano, il ministero accelera: bastano 150 crediti formativi per le supplenze. Perplesso il Cspi.
Gli studenti universitari potrebbero salire in cattedra come maestri supplenti nelle scuole materne ed elementari. Il ministero dell’Istruzione non ce la fa a riempire in tempo i posti necessari e così per accogliere i bambini in classe a settembre si sta pensando a ricorrere a docenti non ancora laureati, ma che stanno terminando il terzo anno di università nella facoltà di Scienze della formazione primaria.
L’indiscrezione è rivelata dal Corriere della Sera che ha visionato la bozza delle nuove graduatorie provinciali per le supplenze elaborata dal ministero, dove si parla di una fascia riservata a studenti in possesso di almeno 150 crediti su 300 e in procinto di iscriversi al quarto o al quinto anno della facoltà.
Il problema della carenza di docenti per le supplenze nelle scuole italiane deriva dal fatto che i concorsi per l’immissione in ruolo dei nuovi docenti, compresi gli attuali precari, annunciati ad inizio anno non si sono svolti a causa dell’emergenza Coronavirus e l’ultima notizia fornita dalla ministra Lucia Azzolina sulle nuove 80mila assunzioni previste per l’anno scolastico 2020-2021 con ogni probabilità non si realizzerà certo prima della riapertura fissata al 14 settembre.
Così adesso, pur dando fondo alle graduatorie attuali elaborate anche in base alle disponibilità della Mad (messa a disposizione docenti per incarichi di supplenza in tutta Italia) non si arriva a trovare il numero di supplenti necessari per garantire le attività scolastiche e c’è un consistente numero di cattedre scoperte, soprattutto al Nord.
Per questo si è pensato, come soluzione d’emergenza, di incaricare gli studenti universitari per espletare le supplenze nel prossimo anno scolastico. Ma sarebbero giovani di 22 anni o poco più, destinati a salire in cattedra senza ancora aver completato la propria formazione e che si troverebbero davanti una sfida pedagogica molto impegnativa: «troppo grande per giovani inesperti», dice al Corriere della Sera il pedagogista Raffaele Mantegazza. «Mandare gli studenti giovani allo sbaraglio mi pare un azzardo», aggiunge: «Non per nulla qualche anno fa si è deciso di allungare il corso di laurea da 4 a 5 anni: perché per avere a che fare con i più piccoli si ritenne che fosse necessario un percorso più lungo di formazione e soprattutto di maturazione delle conoscenze acquisite».
Il Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi), che ha il ruolo di garante del sistema educativo pubblico italiano, ha espresso parere negativo ma solo in parte, affermando: «pur riconoscendo la fase di emergenza straordinaria ritiene opportuno che si predisponga, in via temporanea, un elenco graduato provinciale distinto dal resto delle graduatorie che debbono restare riservate agli aspiranti che sono in possesso del titolo di studio. In tale elenco comunque sarebbe opportuno inserire gli studenti del quinto anno, in possesso di un numero di crediti formativi non inferiore a 240».
Quindi il Garante scolastico ammette la possibilità, in emergenza ed in vista della prossima riapertura delle scuole, di consentire le supplenze agli studenti dell’ultimo anno di Scienze della formazione primaria, anziché anche del penultimo, come nella proposta ministeriale, ed elevando la soglia dei crediti formativi necessari (240 invece di 150), nonostante non siano ancora laureati.
Alcuni sindacati, invece, sono favorevoli alla possibilità di permettere ai laureandi di svolgere le supplenze: soprattutto la Cisl Scuola, la cui segretaria generale, Maddalena Gissi, si esprime così all’Adnkronos: «È una scelta ragionevole, opportuna e di buon senso. Affidare ai laureandi in scienze della formazione primaria, in caso di esaurimento delle normali graduatorie, attività di supplenza nella scuola primaria e dell’infanzia è una scelta che già oggi viene molto spesso praticata, specie nelle aree del Centro Nord, e che consideriamo giusto e opportuno ricondurre a una regolazione più puntuale e trasparente».
«Per questo – aggiunge Gissi – fatichiamo a comprendere le ragioni contrarie, espresse fra l’altro da esponenti del mondo accademico, forse preoccupati del fatto che in questo modo si consenta di insegnare a chi non ha ancora il titolo per farlo. Nessuno mette in discussione il principio per cui solo il possesso del prescritto titolo di studio può consentire l’accesso stabile all’insegnamento: ma nel caso in questione si gestisce una situazione di emergenza, tant’è che i laureandi non entrerebbero a far parte delle normali graduatorie, ma di una fascia distinta e aggiuntiva, utilizzabile solo ed esclusivamente in subordine a quelle, quando non sia più possibile attingervi per mancanza di aspiranti».
«In fondo – evidenzia la numero uno della Cisl Scuola – è quanto oggi avviene con le cosiddette Mad, e non c’è alcun dubbio che utilizzare per le supplenze elenchi regolarmente compilati e graduati di laureandi in Scienze della formazione primaria fornisca più garanzie, sia in termini di trasparenza che di qualità. Se poi a chi studia da insegnante si offre un’opportunità di lavoro sul campo, ovviamente retribuito, si fa cosa utile alla sua formazione e nello stesso tempo si può alleviare la sua famiglia dai costi non indifferenti legati alla frequenza degli studi universitari».